Cambiamento climatico e ambiente

Gli incendi in Brasile, stiamo davvero perdendo il polmone verde del nostro pianeta?

27 August 2019 | Scritto da Alberto Laratro

Dopo la Siberia anche l’Amazzonia è stata colpita da un’abbondante serie di incendi, spesso di origine dolosa. Cerchiamo di capire cosa sta succedendo, quali sono i rischi e gli impatti sull'ambiente di questa vicenda.

Migliaia di incendi stanno colpendo duramente la foresta pluviale amazzonica, un evento gravissimo e preoccupante che ha destato l’interesse dell’opinione pubblica, ma che è importante contestualizzare per riuscire a comprenderne appieno la portata, le conseguenze e gli impatti.

 

L’Amazzonia è un territorio molto vasto, circa 6 milioni di km quadrati, all’incirca la stessa superficie dell’Unione Europea. Un’area enorme, ricoperta da foreste rigogliose: il bacino del Rio delle Amazzoni è, infatti, un incredibile serbatoio di biodiversità, natura incontaminata per chilometri e chilometri. Ogni anno sono moltissimi gli incendi che colpiscono quest’area, sia di origine naturale, sia causati dall’uomo per ricavare nuova terra da coltivare. Quest’anno, però, pare si sia raggiunto un nuovo record di focolari, oltre 75mila solo nella parte brasiliana dell’Amazzonia, un incremento dell’85% rispetto all’anno scorso. Le zone colpite più duramente si trovano nella parte settentrionale, negli Stati di Roraima, Acre, Rondônia e Amazonas, che hanno visto un aumento degli incendi fra il 141% e l’81% rispetto gli scorsi quattro anni. La questione, però, non riguarda solo il Brasile. Anche altri Stati posseggono parte dell’Amazzonia e stanno affrontando aumenti negli incendi: in Bolivia, ad esempio, rispetto l’anno scorso sono aumentati del 114%.

 

Il polmone verde. Da sempre si dice che l’Amazzonia è il polmone verde del pianeta e secondo alcune stime, produrrebbe il 20% dell’ossigeno che respiriamo. Ma le cose non stanno proprio così. L’ossigeno prodotto dagli alberi della foresta pluviale viene per la maggior parte riutilizzato dagli alberi stessi nel loro metabolismo. La loro importanza non deriva dalla capacità di generare ossigeno, ma da quella di trattenere la CO2: ogni anno l’Amazzonia assorbe due miliardi di tonnellate di questo gas, pari a circa il 6% delle emissioni globali. Ciò che è ancora più grave di questi incendi è proprio il rilascio di tutta la CO2 immagazzinata in questi alberi, che non potranno inoltre assorbirne altra una volta diventati tizzoni. Si innesca quindi un processo che si autoalimenta, che potrebbe portare a conseguenze molto gravi per l’ambiente.

Un punto critico che si potrebbe raggiungere riguarda la possibilità di modifiche micro climatiche dell’Amazzonia: viene chiamata foresta pluviale proprio perché è un territorio dove le piogge sono molto comuni e questo, almeno in parte, grazie all’enorme presenza di alberi che, attraverso l’evaporazione, creano le proprie piogge. Una perdita troppo grave di alberi potrebbe portare l’ecosistema a perdere la sua capacità di auto regolarsi, trasformando questa regione in una savana e mettendo a rischio milioni di specie animali e vegetali (la gran parte ancora sconosciute), oltre a moltissime delle piante medicinali che l’umanità utilizza per la sintesi di farmaci di ogni tipo. Non solo: la perdita di ampie aree di foresta significa anche che circa un milione di indigeni che vivono in queste foreste potrebbero trovarsi da un giorno all’altro senza una casa.

 

Le responsabilità del presidente del Brasile. La situazione è grave e sono in corso diverse operazioni per tenere a bada gli incendi, in particolare dal lato del governo boliviano. La questione, dal lato del Brasile (sul cui territorio si trova la maggior parte dell’Amazzonia), è più complicata: di recente il presidente Jair Bolsonaro, dopo aver rifiutato 20 milioni di dollari di aiuti offerti dal G7 per tenere sotto controllo la situazione, ha firmato un decreto che autorizza i militari a intervenire nelle zone a più alto rischio per gestire gli incendi. Bolsonaro è stato accusato di aver contribuito all’aumento degli incendi dolosi con le sue posizioni da sempre rivolte a un maggiore sfruttamento delle risorse dell’Amazzonia. Quando il direttore dell’istituto per la ricerca spaziale del Brasile (INPE) ha reso pubblici i preoccupanti dati satellitari riguardanti l’aumento degli incendi, Bolsonaro ha chiesto le sue dimissioni accusandolo di fornire dati falsi per screditarlo e ha accusato  a sua volta le ONG che si occupano di preservare il territorio dell’Amazzonia di aver appiccato gli incendi per far ricadere le colpe su di lui.

 

La nostra responsabilità. Se da un lato è lecito avere dubbi sull’operato del governo brasiliano e non sembrano esserci dubbi sulle responsabilità degli agricoltori che hanno appiccato gli incendi, dall’altro è importante prenderci la nostra parte di responsabilità. Il motivo per cui molti agricoltori arrivano ad appiccare incendi è per aumentare la quantità di terre coltivate e da pascolo: i prodotti di questi appezzamenti vengono utilizzati per la maggior parte per la produzione di soia ad uso di mangime per animali e per l’allevamento bovino. La World Bank riferisce che l’80% delle terre convertite nella foresta pluviale amazzonica sono infatti destinate all’allevamento. Si tratta di un settore molto redditizio per il Brasile che esporta grandi quantità di carne. E proprio l’Italia è uno degli Stati che più importano carne. Circa 30mila tonnellate di carne l’anno, una cifra che andrà ad aumentare grazie agli accordi presi per il trattato commerciale UE-Mercosur, sottoscritto lo scorso 28 giugno dopo 20 anni di negoziati tra Unione europea da un lato e Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay. L’accordo abbatterà molti dazi e favorirà l’esportazione verso l’Europa di carne bovina e soia per l’alimentazione animale, che sono la causa principale della deforestazione in Amazzonia.

Un primo passo per affrontare il problema degli incendi in Amazzonia e, più in generale, la questione climatica, è quello di accettare la complessità del discorso, evitando di additare alcuni come cattivi e altri come buoni, non permettendoci di avere una visione completa della situazione. Il passo successivo, invece, dovrebbe essere quello di ridurre il nostro consumo di carne, andando ad agire a monte del problema, e di limitare le emissioni, principale causa del surriscaldamento globale a cui sono riconducibili parte dei recenti incendi.

Alberto Laratro
Alberto Laratro

Laureato in Scienze della Comunicazione e con un Master in Comunicazione della Scienza preso presso la SISSA di Trieste ha capito che nella sua vita scienza e comunicazione sono due punti fermi.

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