Cambiamento climatico e ambiente

Le biotecnologie in aiuto dell’industria fashion

1 September 2020 | Scritto da La redazione

L'industria della moda sta assistendo agli inizi di una rivoluzione biotecnologica in cui gli organismi viventi vengono utilizzati per realizzare vestiti, con il risultato di materiali migliori e più sostenibili

Il mondo del fast fashion è una realtà altamente inquinante. Si stima che circa l’8% della CO2 emessa in atmosfera derivi dalla produzione delle fibre e dei tessuti, dal loro trasporto e dalla lavorazione e distribuzione dei capi d’abbigliamento, senza contare la loro combustione: l’invenduto spesso infatti viene bruciato. Stando alle stime dell’IUCN, International union for Conservation of Nature, una percentuale che va dal 15% e il 31% delle microplastiche presenti negli oceani arriva dai lavaggi in lavatrice.

Quella del fashion è la seconda industria più inquinante al mondo, dopo quella del petrolio. Un mondo che sta affrontando una crisi climatica e ambientale non può permettersi di sostenere un tale spreco di risorse. Fortunatamente sono tantissime (e sempre di più) le realtà che cercano modi circolari e sostenibili di venire incontro a un mercato che altamente consumistico come quello dell’abbigliamento. La diffusione di una maggiore sensibilità su questi temi disinnescherebbe questa bomba a orologeria alla radice, ma nel frattempo anche la scienza si dà da fare per trovare modi per ridurre al minimo gli impatti energetici, climatici e ambientali. La biotecnologia infatti si sta rivelando un’alleata preziosa nello sviluppo di nuovi materiali e metodi per trasformare il fast fashion in sustainable fashion. Scopriamo alcune delle realtà che stanno mettendo in pratica questo cambiamento.

 

Chiudere il ciclo. Re:Newcell è una startup svedese che ha sviluppato un metodo che permette di trasformare abiti vecchi e usati in nuovo tessuto: camice, maglie, pantaloni e altri abiti in cotone vengono triturati finemente e quindi processati fino a trasformarli, ipoteticamente senza sprechi, in una pasta composta di cellulosa che quindi viene trasformata in tessuto pronto per essere riutilizzato.

 

L’alga che tinge. Quello delle tinture è un settore critico. Per realizzare un singolo paio di jeans vengono inquinati oltre 7500 litri d’acqua, portandolo a essere la seconda maggiore causa di inquinamento dell’acqua dell’intero pianeta. Uno studio situato a Berlino, Blond & Bieber, ha messo a punto un processo che sfrutta delle alghe per tingere i tessuti. I pigmenti vengono estratti da questi microorganismi per dare vita a un ampio spettro di tinture non tossiche. Una caratteristica particolare è che questi pigmenti vengono modificati dall’ossigeno e dalla luce solare, portandoli nel tempo a cambiare colore, una caratteristica che potrebbe ispirare gli stilisti a intraprendere nuove vie.

 

Camicia di funghi. Quando pensiamo ai funghi immaginiamo champignon e porcini, ma in realtà si tratta di un regno di organismi che comprende anche lieviti, muffe e tantissimi microorganismi unicellulari e pluricellulari. Questo li rende perfetti come materiale di base per moltissime applicazioni, anche in ambito spaziale. Non meraviglia quindi che anche la moda voglia sfruttare le loro capacità. NEFFA, una firma olandese, ha sviluppato un tessuto a partire dalle radici di alcuni funghi. Queste vengono fatte crescere a forma di disco e poi unite per creare abiti senza cuciture. La peculiarità di questi abiti è che una volta gettati semplicemente si decompongono.

 

Tela di ragno. La seta prodotta da alcuni insetti viene usata nel mondo dell’abbigliamento da secoli. Si tratta di un materiale leggero e resistente ma che può essere difficile da produrre in grandi quantità. Un’azienda tedesca, AMSilk, ha trovato una soluzione chiedendo aiuto a particolari batteri geneticamente modificati. All’interno di speciali bioreattori questi batteri producono seta di ragno che viene quindi trasformata in fibre su cui si ha un ampio controllo sulle caratteristiche. La produzione di questa tela, inoltre, non necessita di alcuna materia prima proveniente dal mondo animale né di petrolio, rendendola altamente sostenibile.

 

 

La redazione
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