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Intelligenza artificiale nelle imprese, tutti la vogliono ma in pochi sanno svilupparla

10 September 2019 | Scritto da Thomas Ducato

L’azienda ARGO Vision dal 2016 lavora accanto alle aziende per implementare l’IA all’interno di prodotti e servizi

Secondo un’indagine della società Gartner di inizio 2019, il numero di aziende che utilizzano l’intelligenza artificiale è cresciuto del 270% negli ultimi quattro anni. Cifre importanti per una tecnologia in rapida crescita ed espansione, che sta attirando l’attenzione di un numero sempre maggiore di imprese che, rispetto al passato, la considerano pronta per una adozione massiva. I mercati interessati da questa rivoluzione sono sempre di più e non sempre le aziende sono in grado di padroneggiare internamente queste tecnologie.
Il mercato, dunque, richiede un nuovo tipo di azienda tecnologica, in grado di creare soluzioni su misura per i clienti e che li supporti in questo delicato quanto emozionante processo di innovazione. Tra queste c’è ARGO Vision, startup innovativa, nata nel 2016 a Milano, che si occupa di visione artificiale.

Abbiamo intervistato Alessandro Ferrari, fondatore e amministratore di ARGO Vision.

 

Come è nata la vostra realtà e di cosa si occupa?

ARGO Vision è stata fondata nel 2016, abbiamo compiuto da poco tre anni. Siamo nati con l’idea di sviluppare soluzioni di machine learning e computer vision in una logica di open innovation. Lavoriamo con aziende che per natura, dimensione o competenza non hanno la capacità di sviluppare soluzioni legate al mondo dell’intelligenza artificiale. Portiamo esperienza e competenze all’interno di queste realtà, nei loro prodotti, servizi e processi produttivi per potenziare la loro offerta con i nostri algoritmi. Lo facciamo con la logica della open innovation: “iniettiamo” all’interno del prodotto del cliente la nostra intelligenza artificiale affinché questo possa evolvere. C’è una condivisione su più livelli: tecnologica, strategica e commerciale.

 

 Questo approccio funziona?

Decisamente sì, stiamo vincendo la nostra scommessa. La richiesta di questo tipo di collaborazioni negli ultimi anni è aumentata vertiginosamente. Le aziende che si rivolgono a noi hanno idee innovative da implementare, ma non hanno le necessarie competenze: sono aziende che hanno compreso che devono evolversi velocemente per rimanere competitive. Per usare una metafora, ARGO Vision aggiunge del cachemire sul capo di abbigliamento del cliente per portarlo a un livello superiore di performance e valore. Utilizziamo tecnologie proprietarie: siamo partiti tre anni fa con un nostro core algoritmico che ancora oggi continuiamo a migliorare ed estendere in funzione di nuovi prodotti e progetti che ci vengono commissionati. Il continuo aggiornamento tecnico e la ricerca scientifica sono le chiavi della nostra competitività.

 

In cosa siete specializzati?

Quello dell’intelligenza artificiale è un settore molto ampio, ci sono molte declinazioni del termine IA. Noi siamo specializzati in due dei pilastri della AI: la computer vision e il machine learning. Le nostre tecnologie sono direttamente o indirettamente utilizzate da migliaia di utenti in tutto il mondo, ad oggi una decina di aziende utilizza tecnologia ARGO Vision in diversi mercati.

 

Ci puoi fare un esempio?

Uno dei progetti più innovativi che possiamo citare è “CyclopEye”, il sensore neurale per lo smart parking più avanzato sul mercato: AGLA Elettronica, azienda partner del progetto, voleva sviluppare una nuova soluzione per lo smart parking basata su IA e computer vision. In pochi incontri abbiamo definito il progetto e stabilito i “ruoli”: AGLA Elettronica si è occupata della progettazione e produzione dello hardware, noi abbiamo fornito il software e gli algoritmi di IA. Ora proponiamo congiuntamente il prodotto sul mercato. Tornando ad un discorso più generale abbiamo prodotti e tecnologie di grande prospettiva in molteplici settori: realtà aumentata, realtà virtuale, medicale, big data, smart mobility, controllo qualità industriale,  e altri ancora. Il nostro approccio al mercato è orizzontale, direi sistemico più che verticale o di prodotto.

 

Come è strutturato il vostro team?

Al momento, considerando solo la parte di ricerca e sviluppo, siamo in 6 tutti con un background informatico o matematico. Le persone selezionate devono avere delle competenze specifiche e, devo ammettere, che non è facile reperirle: per noi non è necessario che abbiano esperienza in IA ma devono avere capacità matematiche e di sviluppo codice sopra la media. Internamente abbiamo una sorta di academy con la quale formiamo tutti i dipendenti in maniera continuativa. Paradossalmente si sta rivelando più complicato il processo di recruiting che la “normale” attività di sviluppo.

 

Come mai?

Spesso i neolaureati hanno la giusta ambizione di “spaccare”, di cambiare il mondo sviluppando soluzioni intelligenti, ma non si pongono il problema della complessità di un prodotto che funzioni davvero. In ARGO Vision non sviluppiamo demo, noi sviluppiamo prodotti. Ciò crea una certa distanza tra ciò che cerchiamo e l’offerta sul mercato. Dal punto di vista formativo l’università italiana è in ritardo: rimane eccellente nel creare conoscenze di base ma non prepara realmente gli studenti al mondo del lavoro in questo settore. Negli Stati Uniti è diverso e lo si percepisce. In un mondo in cui l’innovazione va velocissima, non ci si può più permettere di non avere un contatto diretto con il mondo tecnologico e dell’impresa. Oramai l’università non è più il motore trainante della ricerca di questo settore, è del tutto evidente guardando le conferenze top di IA. Questo è un tema su cui riflettere poiché porta alla ribalta un problema di leadership scientifica oramai quasi totalmente ad appannaggio dei grandi player mondiali dell’IT.

 

Torniamo ai clienti, come e con chi lavorate?

Siamo focalizzati prevalentemente sul B2B. Per fare un esempio: in ambito di realtà virtuale noi non creiamo le esperienze immersive che l’utilizzatore finale vede nel caschetto. Noi realizziamo tecnologia di back-end basata su intelligenza artificiale che una azienda specializzata nel settore utilizza per migliorare i propri processi produttivi. Siamo fortemente attivi nello studio di algoritmi di generazione di contenuti virtuali, una sorta di creatività “sintetica” che parte dal riconoscimento degli oggetti reali. Indipendentemente dal mercato finale, lavoriamo con realtà, per dimensione, molto diverse tra loro: dalle piccole-medie imprese fino a multinazionali. Le stesse necessità di innovazione le manifestano sia le piccole che le grandi realtà, le dinamiche sono molto simili.

 

Come sta cambiando il mondo dell’IA e come viene percepita oggi questa tecnologia?

Stiamo andando verso una maggiore integrazione di percezione umana e algoritmi basati su reti neurali.
Il mondo dell’IA negli ultimi anni ha vissuto una stagione di grandissimo entusiasmo. Da un lato c’è una percezione, quasi magica, di una tecnologia senza limiti, dall’altra ci si inizia ad interrogare su problemi di natura etica, sociale ed economica legati all’esponenzialità dell’intelligenza artificiale. Tra tutti, spiccano i temi della privacy, dell’uso etico della IA e dei nuovi “schiavi” che etichettano dati. Saranno questi i temi monopolizzatori del dibattito mondiale nei prossimi anni secondo me.

 

Quali sono quindi le principali difficoltà che riscontrate?

Ci sono ancora tantissimi problemi aperti a livello scientifico, in particolare quelli che riguardano la piena comprensione di alcune peculiarità delle reti neurali e delle loro potenzialità. C’è poi il tema che riguarda la percezione sulla maturità della tecnologia: le aspettative dei clienti e degli utilizzatori finali sono sempre più alte, spesso guidate da un marketing un po’ “spregiudicato” che racconta di un mondo oramai governato da intelligenze artificiali sempre più evolute. Tra ricerca scientifica e ricadute tecnologiche concrete passano normalmente anni, prevalentemente a causa di problemi di adozione “infrastrutturale” delle nuove scoperte.

 

In che senso?

Gli algoritmi in ambito AI evolvono ad una grande velocità, ma la “prova del nove” è la loro applicazione nel mondo reale, nel quale devono agire ed interagire con gli esseri umani. È il caso, per esempio, delle auto autonome: muovendosi in un ambiente misto (con pedoni, ciclisti, veicoli autonomi e non – ndr) ci sono sempre nuove situazioni, problemi che sono molto difficili da affrontare a livello algoritmico ma che saranno probabilmente risolti quando ci saranno delle infrastrutture pronte ad accogliere un eco-sistema di mezzi a guida autonoma. Fino ad allora vedremo solo affascinanti demo in ambienti semi-controllati (percorsi chiusi, autostrade, strade poco congestionate). Se, per assurdo, immaginassimo di riprogettare da zero la mobilità basandola solo su mezzi autonomi, le self-driving cars sarebbero una normale, quasi banale, quotidianità da molti anni. La realtà è che dobbiamo fare i conti con oltre un miliardo di auto di “vecchia generazione” che rende l’adozione di questa nuova tecnologia ancora una sfida aperta. Ciò che ravviso è proprio un problema di percezione nella complessità dell’adozione della IA che falsa, troppo spesso, le aspettative dei non addetti ai lavori.

Thomas Ducato
Thomas Ducato

Direttore di Impactscool Magazine. Laureato in Editoria e giornalismo all’Università di Verona e giornalista pubblicista dal 2014, si occupa delle attività di ufficio stampa e comunicazione di Impactscool, curandone anche i contenuti, la loro diffusione e condivisione.

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