Cambiamento climatico e ambiente

Sostenibilità, servono bilanci aziendali più trasparenti sull’impatto

2 October 2020 | Scritto da Stefano Tenedini

Quanto pesa il rispetto dell’ambiente, dell’etica, del lavoro sulle performance delle società? Rendere visibile l’incidenza sui profitti darà a imprese, investitori, clienti e dipendenti più strumenti per premiare chi fa scelte più corrette verso l’ecosistema.

Ridurre o no il nostro impatto? È una domanda che ormai non dovremmo neanche più porci: il punto è quanto saremo in grado di ridurlo, entro quando e a che prezzo. Perché anche la sostenibilità dev’essere sostenibile, se no noi per primi non la accetteremmo: noi persone, cittadini, famiglie, aziende, organizzazioni e governi. La sostenibilità ha un costo? Beh, certo: mica ce li regalano pannelli solari o caldaie a basso consumo per inquinare meno; e andare in bicicletta è “green”, però è più faticoso. Ma anche non adottare comportamenti, processi produttivi e visioni improntate alla sostenibilità ha un prezzo da pagare: in termini climatici, economici e ambientali, così come sotto il profilo sociale e sanitario.

 

Efficienza sostenibile, sostenibilità efficiente. Se quindi da un lato siamo convinti che sostenibile è bello, dall’altro dobbiamo “vederci” un tornaconto, perché anche per fare del bene è naturale andare alla ricerca dell’efficienza. E in effetti le cose cominciano a cambiare, e potrebbero modificarsi addirittura più in fretta. Dobbiamo trasformare il nostro rapporto con etica e ambiente in un vero e proprio processo evolutivo conveniente, anzi: profittevole, come in molti casi sta già succedendo. Lo spiega (e ne mostra anche il potenziale effetto di trascinamento) l’iniziativa ideata e promossa dalla Harvard Business School: si chiama IWAI, Impact-Weighted Accounts Initiative, un progetto che ricalcola i bilanci delle aziende tenendo conto esplicitamente del loro impatto.

Un semplice cambio di prospettiva che ci fa vedere come certi super gruppi abbiano i piedi d’argilla, mentre società più piccole e ritenute a torto marginali siano una pentola d’oro per gli azionisti e garantiscano utili inattesi proprio per le loro scelte di sostenibilità. Bisogna rendere visibile e trasparente l’impatto globale delle attività economiche perché, per dirlo con un’immagine, gli investitori sappiano dove piazzare le loro fiches al tavolo da gioco. Con l’analisi dei big data e l’intelligenza artificiale è meno difficile combinare le variabili, e questo ha reso possibile misurare e attribuire un peso economico all’impatto delle imprese. E se le regole cambiano nel segno del fair play, possiamo cambiare anche il gioco.

 

Oggi un’azienda nemmeno sa di essere un costo o un beneficio per la società e l’ambiente. IWAI ha controllato e pesato diversamente 1800 bilanci, e la realtà appare sotto una luce diversa. Dal 2021 verrà preso in considerazione anche l’impatto sull’occupazione e sul costo dei prodotto, e un quadro completo ci darà nuove prospettive sulla redditività. Ma qualcosa sta già emergendo. Ad esempio che molte hanno costi ambientali che superano il loro stesso margine operativo lordo: 15 imprese su cento vedrebbero i loro profitti cancellati dal danno ambientale che hanno causato, mentre il 32% perderebbe un quarto dei profitti. In questa fascia critica ci sono società di ogni settore, dalle compagnie aeree ai prodotti forestali e carta, dai prodotti petroliferi ai servizi elettrici e materiali da costruzione. E in tutti i settori ci sono distacchi significativi tra chi crede nel rinnovamento e chi volta le spalle.

Vedere chiaramente l’impatto avrà notevoli conseguenze: invece di tassare tutti per ridurre l’inquinamento o salvaguardare i redditi e la salute, i governi potrebbero colpire le società più dannose, o distribuire incentivi alle aziende che hanno invece un impatto positivo con i loro prodotti, i processi e il lavoro. Lo stesso calcolo lo faranno gli investitori, premiando chi fa le scelte più corrette. Ci sono oltre 30 trilioni di dollari (un trilione è un miliardo di miliardi: soldi veri, non di Paperone), un terzo degli asset mondiali, già collocati negli investitimenti rilevanti per ambiente, sociale e governance. Soldi che stanno “lavorando” per favorire il cambiamento climatico e sociale. Al contrario, le imprese con un impatto negativo tengono lontani i capitali e perdono sul mercato azionario e sui finanziamenti. Qui i manager saranno spinti a ridurre l’impatto per salvare la baracca – e i loro stipendi.

 

E dal lato del consumatore? Più trasparenza consentirà ai clienti di acquistare prodotti di aziende in linea coi propri valori. E lo stesso faranno i dipendenti nelle loro scelte di carriera. La conversione sostenibile non dev’essere solo a parole, il famigerato greenwashing: anche qui, è la scarsità di dati che favorisce i chiacchieroni. Prendiamo le case automobilistiche che vantano auto con scarichi alla violetta: non è vero, e basta misurare le emissioni. Infatti solo poche aziende si salvano. La definizione di regole contabili che includano la sostenibilità cambierà questa e altre valutazioni sulle performance aziendali. E la crisi del Covid-19, che aggraverà le disuguaglianze sociali ed economiche, intensificherà la necessità di una ripresa equilibrata e sostenibile e di un passaggio a sistemi “impact driven”.

Ma bisogna che una rete di organizzazioni internazionali (come il World Economic Forum o l’Agenzia Europea dell’Ambiente), innovatori, aziende e investitori impongano ai governi di adottare e diffondere gli indici di impatto. E tutti noi? Chi guida un’impresa può misurare e rendere noto il proprio grado di sostenibilità. Chi investe denaro può chiedere trasparenza alle società in cui mette del denaro, per valutare opportunità e rischi. Chi è al governo deve spingere aziende e investitori a creare condizioni favorevoli perché la transizione acceleri e raggiunga una massa critica. I consumatori devono acquistare prodotti e servizi di aziende con impatto positivo sul pianeta e la società. La trasparenza può ridisegnare il meccanismo di generazione e distribuzione del valore: non per cancellare il profitto, ma perché non sia più un problema e diventi una soluzione. Succederà? I dubbi ci sono, ma se vogliamo per le nuove generazioni un ecosistema e una società accettabile, presto questa scelta non sarà più negoziabile. È ora di decidere se stare di qui o di là.

Stefano Tenedini
Stefano Tenedini

Contributor

Giornalista e inviato per quotidiani e periodici, esperienze di ufficio stampa e relazioni esterne nella finanza e in Confindustria. Oggi si occupa di comunicazione per grandi e piccole imprese, professionisti e start-up.

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