Future Society

Il rating del (buon) guidatore e il modello del credito sociale

15 December 2020 | Scritto da Thomas Ducato

Una nota azienda di car sharing ha introdotto in Italia l’utilizzo di un sistema che analizza la guida degli utenti. Per ora non ci saranno conseguenze per chi ottiene un punteggio basso ma qualche domanda dovremmo iniziare a porcela

Guidare in città nelle ore di punta può essere un’esperienza stressante. Frenate improvvise, colonne e ingorghi, slalom tra ciclisti e scooter, pedoni indisciplinati. A tutto questo gli utenti di una nota azienda di car sharing, presente in diverse città italiane, dovranno aggiungere la sensazione di essere costantemente giudicati: non da un istruttore in carne e ossa, con cui magari fare anche quattro chiacchiere per passare il tempo e allentare la tensione, ma da un algoritmo.

Dal primo dicembre, infatti, è attivo su questi veicoli un sistema che monitora tutto il tragitto e, una volta parcheggiata l’auto ed estratta la chiave, attribuisce all’utente un punteggio da 1 a 10.

Ma come vengono utilizzate le informazioni raccolte e i punteggi? L’algoritmo è nato ufficialmente per “incentivare comportamenti di guida corretti e sicuri” e “tutelare l’azienda”, limitando il rischio di danneggiamenti delle sue vetture. Al momento, quindi, non sono previste conseguenze sui noleggi futuri per i “cattivi guidatori”, ma la notizia solleva qualche interrogativo: è accettabile farsi giudicare dagli algoritmi? Cosa accadrebbe se questi dati fossero utilizzati per limitare opportunità o accesso a servizi?

 

Il sistema cinese del credito sociale. Il dibattito sul tema del rating dei cittadini è vivo da anni anche a causa del Sistema di Credito Sociale lanciato dalla Repubblica popolare cinese: uno strumento per classificare la reputazione dei cittadini, a partire da una serie di informazioni raccolte e analizzate da sistemi tecnologici. Il programma è stato annunciato dal governo di Pechino già nel 2014 ed è stato definito dal mondo occidentale come una forma di controllo non distante dagli scenari distopici orwelliani.
L’idea di fondo è quella di creare un sistema di sanzioni e ricompense, con cui premiare o punire i comportamenti dei cittadini come il rispetto della legge, l’affidabilità sul piano economico e la condotta sul piano sociale. Almeno ufficialmente il sistema è pensato proprio per fornire degli incentivi sociali che favoriscano comportamenti virtuosi e buone pratiche: uno strumento che permetterebbe quindi di regolamentare economia e vita sociale in modo quasi naturale, facendo leva sulla reputazione dei cittadini e limitando i casi in cui si renda necessario un intervento diretto dello Stato.

In alcune città e province dal 2014 a oggi il sistema è stato utilizzato e implementato, con conseguenti polemiche del mondo occidentale e di osservatori esterni sul suo funzionamento, le punizioni previste e l’arbitrarietà dei giudizi.

 

Il semaforo della vergogna. Curiosi, ma allo stesso tempo esplicativi del sistema, sono i semafori installati in alcune città cinesi. Chi passa con il rosso viene filmato e il suo volto mostrato su un maxi schermo per essere (mal)giudicato dagli altri cittadini. Ma non è tutto, perché grazie a un sistema di riconoscimento facciale “il semaforo” è anche in grado di identificare il contravventore, per poi applicare le sanzioni previste. Una gogna popolare che, in un Paese in cui reputazione e onore sono valori importanti, ha dato risultati positivi. Ma la privacy?

 

 

Il fine giustifica i mezzi? Tralasciando i fini di questi sistemi di rating, che almeno nelle intenzioni dichiarate restano strumenti per incentivare comportamenti virtuosi e non per introdurre forme di controllo, è giusto porre l’accento sui mezzi utilizzati al loro raggiungimento.
Da un lato c’è la capacità di questi sistemi di raccogliere e analizzare dati che assumono valore e rappresentano il perno di un modello economico che tende a trattarci più come prodotti che come individui. Dall’altra c’è il tema relativo alla natura degli algoritmi, che hanno pregiudizi e sono privi di una caratteristica che in alcuni casi è fondamentale: il buon senso.

In Europa, ancora più che in Cina, siamo lontani da uno scenario in stile “Grande Fratello”. Ma i segnali del presente ci obbligano a porci qualche domanda.

Thomas Ducato
Thomas Ducato

Direttore di Impactscool Magazine. Laureato in Editoria e giornalismo all’Università di Verona e giornalista pubblicista dal 2014, si occupa delle attività di ufficio stampa e comunicazione di Impactscool, curandone anche i contenuti, la loro diffusione e condivisione.

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