Future Society

La rivoluzione degli Smart Contracts

20 June 2019 | Scritto da Giulio Siciliano

Continua il nostro viaggio tra le componenti della tecnologia blockchain: scopriamo meglio gli smart contracts

C’è una rivoluzione all’orizzonte per il mondo della contrattualistica, tanto nel settore privato quanto nel settore pubblico: questa è rappresentata dagli smart contracts, uno degli elementi peculiari della tecnologia blockchain. L’implementazione combinata della tecnologia blockchain e degli smart contracts porta con sé la promessa di snellire la burocrazia delle pubbliche amministrazioni e di semplificare i rapporti tra queste e i privati, con enorme beneficio del sistema Paese che deciderà di intraprendere questo cambiamento. Ci sono già dei casi interessanti da studiare e prendere come esempio:  non si può non citare il sorprendente successo in Estonia del modello e-Estonia, grazie al quale è stato possibile integrare tutti i servizi pubblici in un’unica piattaforma digitale, con il conseguente aumento vertiginoso degli investimenti all’interno del Paese.

 

Come funzionano. Per comprendere a pieno il funzionamento degli smart contracts, dobbiamo avere in mente quanto precedentemente detto per i distributed ledgers e per il sistema del consensus e iniziare a pensare alla combinazione di questi tre elementi come ad un unico sistema. I registri distribuiti non hanno solo la funzione passiva di “registrare” le transazioni che vengono loro trasmesse. Diversamente, non vi sarebbe alcuna opportunità nel distinguerli dai semplici registri digitali: essi hanno soprattutto un ruolo attivo, dettato dal corretto funzionamento del sistema del consensus. Per rispettare il consenso, infatti, essi devono anche garantire che le transazioni registrate siano effettivamente poste in essere.

Per far sì che nel sistema Bitcoin il consensus funzioni, per esempio, non basta che sul registro distribuito della blockchain le transazioni vengano solamente registrate. È necessario, infatti, che il sistema imponga in automatico ai contraenti il trasferimento delle somme pattuite. In questo modo, nessuno può iniziare una transazione con la promessa di scambiare con un altro partecipante del network un ammontare x di bitcoin e poi tirarsi indietro: il trasferimento e la riconciliazione del registro fanno parte della medesima azione di sincronizzazione.

Questo meccanismo è ciò a cui ci riferiamo con la locuzione smart contract. Volendo iniziare a trattare l’argomento in termini giuridici, questo meccanismo significa che il contratto non solo è efficace, ma anche immediatamente produttivo dei suoi effetti giuridici tra le parti contraenti.

 

Dalle prime teorie agli smart contracts odierni – la piattaforma Ethereum. L’idea alla base degli smart contracts viene da lontano: fu Nick Szabo nel 1997 in principio a teorizzare questo strumento. Prima dell’avvento del sistema di Nakamoto, tuttavia, la sua reale applicabilità è rimasta molto limitata: solo grazie a lui, infatti, gli smart contracts hanno potuto avvalersi del registro distribuito fornito dalla blockchain per operare in autonomia e, dall’altro lato, il bitcoin ha si è avvalso di essi per validare le sue transazioni.

Ad oggi, la piattaforma più importante in tema di smart contracts è senza dubbio Ethereum, lanciata nel 2015, ma non è detto che anche questo dato, a fronte del recentissimo annuncio di Project Libra da parte di Facebook, entro pochi mesi non possa essere rivoluzionato.

In questa sede sarebbe inappropriato soffermarsi sul perché la piattaforma Ethereum abbia, di fatto, consentito la realizzazione nella pratica degli smart contracts. Tuttavia, per completezza espositiva, è comunque opportuno sottolineare che questo è stato reso possibile grazie alle cosiddette “DApps”.

 

Le DApp. Non esiste ancora una definizione unanime di cosa sia una DApp (acronimo di decentralized application). Con un’enorme semplificazione, potremmo affermare che, esattamente come il registro di una blockchain è decentralizzato e condiviso tra tutti i computer che partecipano al network, allo stesso modo è possibile immaginare delle applicazioni decentralizzate e condivise nei medesimi terminali. Ve ne sono già moltissime sul mercato, le quali per la gran parte ripropongono, in chiave decentralizzata, applicazioni già esistenti. Un esempio può essere la DApp Commuterz per i servizi di carpooling, la quale potrebbe essere paragonata ad altri servizi già esistenti quali Uber. Ce ne sono altrettante, però, che si pongono obiettivi avveniristici.

Già nel 2016, nel paper Profiles in Innovation, Goldman Sachs ha immaginato che, tramite le DApp, si potrebbe facilitare la nascita di interi mercati decentralizzati,fornendo, in particolare, un esempio di mercato decentralizzato relativo all’energia elettrica. Non sarebbe possibile immaginare tutto questo senza l’ausilio degli smart contracts: un registro distribuito potrebbe tracciare tutte queste transazioni e integrarne immediatamente l’efficacia, senza sovraccaricare un ente centrale preposto allo svolgimento di queste funzioni.

Arrivati a questo punto, possiamo interrogarci sui quesiti che, attualmente, sono sul tavolo delle trattative della gran parte dei Paesi del mondo, tra cui anche il nostro. Come si concilia tutto il complesso mondo della blockchain e delle sue funzioni con i nostri attuali schemi contrattualistici? Quali sono le reali garanzie offerte da questo tipo di sistema? Ma, soprattutto, a quali rischi andiamo in contro?

Sono questi i temi sui quali si sta alimentando il dibattito giuridico legato a questa nuova tecnologia. A partire dai prossimi interventi, cercheremo di far chiarezza su alcuni dei principali dubbi interpretativi provenienti dal mondo legale.

Giulio Siciliano
Giulio Siciliano

Giulio Siciliano è laureato in giurisprudenza presso l’università LUISS Guido Carli di Roma, lavora come consulente in ambito Management e Innovazione.

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