Future Society

Le emozioni fuori mappa durante il lockdown

19 January 2021 | Scritto da La redazione

Pubblicato sulla rivista internazionale «Mobilities» lo studio dei ricercatori del Centre for Advanced Studies in Mobility and the Humanities dell’Università di Padova: la cartografia non è solo una rappresentazione, ma anche parte attiva del movimento della vita.

Le mappe cartografiche, oltre i dati, possono farci “sentire” quegli stessi dati. Ad esempio la mappa dei contagi da coronavirus realizzata dalla Johns Hopkins University, cui i media fanno costante riferimento come strumento informativo per il monitoraggio globale della diffusione del virus, è diventata anche un catalizzatore globale di emozioni personali e collettive. Su quella mappa, dove il colore rosso del contagio si addensa entro le sagome cupe di stati e continenti, si proiettano infatti ansie, sensazioni di allarme e sofferenze condivise. Le cartografie del virus, quindi, incorporano anche impatti esistenziali.

 

La ricerca “Pandemic Cartographies: A Conversation on Mappings, Imaginings, Emotions“, pubblicata sulla rivista internazionale «Mobilities» da Andrea Pase, Laura Lo Presti, Tania Rossetto e Giada Peterle del Centre for Advanced Studies in Mobility and the Humanities all’interno del Dipartimento di Scienze Storiche, Geografiche e dell’Antichità – DiSSGeA – dell’Università di Padova è nata proprio per indagare questo sfaccettato fenomeno. In particolare lo studio pubblicato ha rivelato un panorama estremamente sfaccettato, capace di aprire un’inedita prospettiva da cui indagare gli immaginari culturali della pandemia. Attraverso questo approccio culturale alla cartografia gli autori sono stati in grado di dimostrare il ruolo chiave svolto dalle mappe nella mediazione culturale e affettiva della pandemia, nella costruzione di iniziative nate dal basso per mitigarne gli effetti, nella produzione del senso di coesione nazionale di fronte all’emergenza, nella creazione di mondi immaginari attraverso cui interpretare ed esprimere il senso di ciò che stiamo attraversando.

 

Diverse mappe, diverse rappresentazioni. Durante il primissimo lockdown i ricercatori hanno analizzato il moltiplicarsi di rappresentazioni cartografiche nella rete attraverso lenti scientifiche diverse. Andrea Pase si è focalizzato sugli aspetti geografico-psicanalitici e sulla dimensione del trauma così come viene rielaborato attraverso le cartografie pandemiche, mettendo in evidenza l’uso strategico del colore: dal rosso associato alla condizione di pericolo al blu utilizzato per indicare il congelamento della mobilità. Laura Lo Presti ha messo in luce come gli strumenti di mapping digitale, tanto contestati quando minacciavano di invadere la privacy attraverso azioni di tracciamento, siano invece diventati fondamentali per creare delle “catene cartografiche” di solidarietà in iniziative spontanee di mutuo soccorso tra cittadini. Tania Rossetto ha invece indagato la proliferazione di immagini che presentano la sagoma cartografica dell’Italia come un corpo infetto e le sfumature dei sentimenti nazionali da esse attivati (con particolare riferimento alla celeberrima immagine della dottoressa che culla l’Italia, esposta in gigantografia all’esterno dell’ospedale Papa Giovanni di Bergamo). Giada Peterle si è concentrata sulla dimensione creativa delle mappature del virus mettendo in luce come artisti, illustratori, ma anche persone comuni abbiano usato il linguaggio grafico per comunicare le trasformazioni delle singole relazioni personali con lo spazio durante il lockdown (dai viaggi immaginari d’Italia attraverso le città quarantenate, alle collezioni di paesaggi dalla finestra, fino alle mappe delle scrivanie dello smart working).

 

Mappe e emozioni. «Le mappe, in diversi modi, rispondono ad un bisogno antropologico di comunicare lo spazio – dice Tania Rossetto del Centre for Advanced Studies in Mobility and the Humanities del DiSSGeA -. Tenendo insieme il senso comune di una esposizione al pericolo e la necessità di trovarvi riparo, la vulnerabilità e la cura, la cartografia si fa non solo sintomo, ma anche agente della condizione umana nell’età pandemica. La cartografia non è dunque solo una rappresentazione, ma è parte attiva del movimento della vita. Le potenzialità del linguaggio cartografico si rivelano oggi accelerate ed aumentate dalla grandissima mobilità delle mappe: i ricercatori hanno infatti osservato, attraverso le varie dimensione evocate, l’iper-mobilità delle mappe virali nella rete, ma anche i loro continui rimbalzi tra digitale e analogico, così come la capacità del linguaggio cartografico di rielaborare in modo creativo l’immobilità a cui ci costringe una pandemia – sottolinea Rossetto -. Non solo, lo studio mostra come, in linea con i più recenti studi cartografici culturali, ognuno di noi possa trovare nella lettura delle mappe quotidiane (ricerca di una location sul cellulare, uso del navigatore nella guida, infografica sul giornale) suggestioni, sguardi inediti e nuove emozioni».

 

La redazione
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