Future Society

L’economia sostenibile che fa bene al cuore (e anche al business)

7 May 2019 | Scritto da Stefano Tenedini

Ridefinire il concetto di crescita e di consumo, rispettare le risorse e le persone. È la chiave dello sviluppo responsabile, che non danneggia le aziende e il lavoro ma anzi genera utili, cultura, responsabilità. Dall’università all’impresa, fino alle policy globali.

Le aziende e i brand che scelgono la sostenibilità insegnano qualcosa di utile non soltanto al sistema delle imprese, ma anche alla società. Non per una sensibilità generica, ma per un compito importante sul piano della visione etica del futuro: trasformare il mercato e sostituire i modelli di consumo obsoleti con un approccio rispettoso per l’ambiente e per il benessere delle persone. Un’evoluzione (o meglio una rivoluzione) che punta a ridefinire il concetto di crescita, non a distruggerlo. Perciò, nonostante il forte richiamo all’emergenza del global warming, gli eccessi “alternativi” che contrapponevano l’ecologia e lo sviluppo si sono progressivamente affievoliti, in favore di un’innovazione sostenibile.

Prendiamo l’energia: l’accento è sempre più sul risparmio e la creatività, sul cambiamento dello stile di vita, su risorse che mantengano in movimento l’economia senza danneggiare il pianeta, l’umanità e neanche la crescita. Passati i tempi del consumo fine a se stesso, le aziende più innovative e i loro leader sottolineano il valore di un sistema interconnesso e di un’economia circolare che tenga conto dell’impatto delle scelte industriali.

“In passato per le imprese contava solo il profitto. Oggi si considera l’impatto globale della produzione, del packaging, del trasporto. E si comprendono le conseguenze delle politiche economiche. Anche in senso positivo: esiste un modello di crescita meno invasivo ma che porta comunque al successo”, dice Koann Vikoren Skrzyniarz, Ceo di Sustainable Brands, una community che raccoglie nel mondo 350 mila aziende, professionisti e docenti.

Sostenibilità e aziende. Il passaggio chiave sarà rendere la sostenibilità una presenza stabile, e non una toppa che si appiccica all’ultimo momento per acchiappare clienti e “markettizzare” il messaggio (è il famigerato “greenwashing”). Sarà un viaggio lungo, ma si vedono già interessanti segnali in molti settori industriali: materie prime più naturali, lavorazioni meno inquinanti, energia rinnovabile, imballaggi ridotti e riciclati, campagne per acquisti consapevoli, percorsi brevi per le merci, tutela del lavoro… Ci si arriverà lentamente, ma la strada è segnata.

Cosa significa questo cambio di passo per le aziende? Quali vantaggi comporterà, e quanto peserà questa scelta sul fatturato, gli utili, il successo del brand, la comunicazione? Da qualche anno a questa parte la risposta è positiva: una visione etica non è in contrasto con il bilancio. La sostenibilità è già un fattore di mercato e di lavoro: possiamo fare nostre le scelte dei clienti o ignorarle, correndo però il rischio di venire marginalizzati. Innovazione e trasformazione (purché non solo a parole) hanno portato più benefici che danni a chi ha promosso un cambiamento nella propria azienda aprendo ai temi ambientali e sociali, riducendo l’impatto dei prodotti, valorizzando le risorse umane… e tutto questo senza perderci, anzi moltiplicando il commitment e la redditività.

L’importanza della formazione. Anche l’università sta migliorando la propria offerta formativa perché la trasformazione si avvantaggi delle migliori competenze tecnologiche e culturali. Prendiamo di nuovo l’energia, chiave della crescita non solo in Occidente ma in tutto il mondo: portare l’efficienza nell’impresa e a livello socio-politico è necessario per trasferire l’urgenza della sostenibilità nelle policy internazionali. In Italia spicca la laurea in Ingegneria Energetica, disegnata dal Politecnico di Milano proprio per l’utilizzo delle risorse energetiche in chiave di sviluppo per tutti.

Un modello analogo, ideato per un futuro in cui produzione e welfare siano in equilibrio, è quello proposto negli Usa per richiamare più giovani a svolgere ricerche in questo settore. Non si tratta di una sola laurea: l’indirizzo di Scienza della Sostenibilità di Harvard, “sparso” nei programmi di più facoltà, promuove un concetto di prosperità condivisa per ridurre la povertà rispettando l’ambiente, mettendo insieme studi, analisi e sfide dello sviluppo.

I primi risultati positivi e l’entusiasmo delle aziende (piccole e grandi, multinazionali globali ma anche start up) ci dicono che innovare con coraggio e ottimismo oggi non è solo etico e giusto, ma anche remunerativo. Far emergere un’economia dal volto umano superando le crisi della finanza e delle migrazioni, del clima e della fame è il modo migliore per imparare dal cambiamento senza venirne travolti. E costruire (a partire da oggi) un futuro migliore.

 

Stefano Tenedini
Stefano Tenedini

Contributor

Giornalista e inviato per quotidiani e periodici, esperienze di ufficio stampa e relazioni esterne nella finanza e in Confindustria. Oggi si occupa di comunicazione per grandi e piccole imprese, professionisti e start-up.

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