Future Society

Quale futuro per il giornalismo “dentro” la rivoluzione digitale?

21 June 2018 | Scritto da Stefano Tenedini

New media resi potenti dai social e dalla tecnologia. Brand che diventano gli editori di se stessi. Lettori disorientati da notizie difficili da verificare. Cosa resta del valore sociale, dell’indipendenza e del dubbio? Oltre le fake news, un ruolo da ricostruire.

 

Il giornalismo esiste da sempre, da quando Senofonte descrisse con piglio da storyteller la campagna di Persia dei Diecimila di Sparta e il loro epico ritorno al mare. E sarà con noi nel futuro, per aiutarci a comprendere gli avvenimenti, illuminarne gli angoli meno chiari e leggere la realtà in tutti i suoi aspetti. Da qualche tempo, però, il giornalismo “collabora” con la tecnologia per fornirci un livello di dettaglio che va al di là della semplice lettura.

Questo vale per tutti i settori dell’attualità, comprese la politica o l’economia. Prendiamo ad esempio la rivoluzione nella comunicazione d’impresa: anche se da almeno un secolo le industrie creano e raccontano “storie” per conquistare i loro clienti, solo da qualche anno il mondo digitale ha cambiato le carte in tavola con effetti straordinari. Infatti oggi non c’è più attività promozionale che possa prescindere dal marketing dei contenuti.

Perfino i brand storici si sono adeguati e i più intelligenti hanno saputo unire la tradizione e le opportunità innovative. Prendiamo la rivista The Furrow di John Deere, il principale produttore di macchine agricole del mondo, dedicata ai coltivatori e in circolazione dal 1895: ha una storia straordinaria e non ha mai perso un colpo. Oggi è diventata un caso di scuola perché ha saputo valorizzare un patrimonio di storytelling, legami con il territorio e temi ambientali trasferendolo su una piattaforma web user friendly.

Ma lo sviluppo digitale è così dirompente da scuotere il giornalismo anche come settore delle comunicazioni: lo vediamo già con la diffusione dell’industria delle fake news. Ne dovremmo tenere conto non nel futuro, ma oggi, perché mai come in quest’area vi sono drammatiche implicazioni etiche. Di chi possiamo fidarci? La tecnologia aiuta la credibilità o serve a nascondere false verità, diffuse per orientare opinioni e schieramenti? Giornalisti e content provider affrontano sfide nuove in un mondo sempre più saturo di contenuti e affamato di notizie fresche, talvolta (questo è il rischio) a scapito della credibilità.

Secondo l’Istituto Reuters per lo Studio del Giornalismo, RISJ, che ha da pochi giorni diffuso il Digital News Report 2018, la proliferazione di dispositivi mobili e social media va tenuta sotto controllo, perché ha messo sottosopra anche l’equilibro faticosamente raggiunto dal giornalismo digitale. I lettori e i consumatori ora cercano notizie su Twitter, Linkedin o Facebook, ricevono suggerimenti (spesso interessati) su ciò che fa tendenza, rilanciano e moltiplicano storie già lette e condivise dai loro amici e contatti. Il numero dei “like” vale più delle opinioni meditate dei professionisti della comunicazione. Giusto? Sbagliato?

Il rapporto del RISJ si concentra sui problemi di fiducia e disinformazione, sui nuovi modelli di business online, sull’impatto degli algoritmi di Facebook e sullo sviluppo di nuove app di messaggistica. La criticità è evidente: se sempre più persone trovano “notizie” su telefoni e social, addio al valore sociale del giornalismo e soprattutto alla sua indipendenza. Ma c’è chi è fiducioso, come Jim Bankoff di Vox Media: “Il giornalismo continuerà a contare anche nel contesto digitale, come è sempre stato mentre le tecnologie si aggiornavano”. E come potrebbe pensarla diversamente, visto che proprio questo scenario fa volare i suoi utili?

È comunque evidente che il giornalismo deve rimettersi a correre, se non vuole diventare irrilevante in un mercato delle notizie in cui ogni brand è potenzialmente l’editore di se stesso, senza intermediari. La strategia giusta, paradossalmente, potrebbe essere andare controcorrente: invece di semplificare le problematiche del mondo moderno, cosa che il web fa già di suo (col rischio di addormentare le menti banalizzando la realtà), potrebbe tornare a occuparsi della complessità, per seminare utilmente il dubbio e lo spirito critico.

C’è un proverbio consolidato tra i vecchi reporter: “Se tua mamma dice che ti vuole bene, verificalo con una fonte indipendente”. In altre parole: il giornalismo del futuro si prepari a dare ai lettori non solo quello che vogliono leggere, ma quello che dovrebbero leggere.

Stefano Tenedini
Stefano Tenedini

Contributor

Giornalista e inviato per quotidiani e periodici, esperienze di ufficio stampa e relazioni esterne nella finanza e in Confindustria. Oggi si occupa di comunicazione per grandi e piccole imprese, professionisti e start-up.

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