Future Society

The winner takes it all

17 May 2018 | Scritto da Luca Tiraboschi

La diffusione delle tecnologie sta limitando le disparità sociali nel mondo ma, allo stesso tempo, favorisce l’incremento del divario economico tra i cosiddetti “super ricchi” e tutto il resto della popolazione

 

Il mondo in cui viviamo è un mondo dove la qualità della vita è generalmente migliorata in maniera evidente rispetto al passato: è innegabile, infatti, che lo sviluppo delle tecnologie abbia influito positivamente su tantissimi aspetti della nostra società, arrivando in molti casi a creare un ponte verso le popolazioni più povere del pianeta. Ma fino a che punto questo progresso è in grado di generare benessere? E perché gli ultimi decenni hanno visto aumentare sempre più il divario tra i più benestanti del pianeta e tutto il resto della popolazione?

 

Tecnologie e qualità della vita

L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU, ha fotografato la situazione della qualità della vita in tutto il mondo. Il documento, infatti, si focalizza sulle priorità che devono essere affrontate globalmente, come la sconfitta della povertà, la sconfitta della fame, o il miglioramento della qualità di salute e benessere, sottolineando come il lavoro che ci aspetta per garantire un minimo di benessere a tutti gli esseri umani è ancora lungo, ma che al contempo abbiamo già raggiunto risultati concreti. Per esempio, prendendo come riferimento i valori del 1990, gli indici di povertà estrema si sono ridotti di oltre la metà, ogni giorno muoiono 17.000 bambini in meno e la mortalità materna si è ridotta quasi del 50%. Buona parte di questi progressi è attribuibile alla scienza e alla medicina che, anche grazie alla tecnologia, sono riuscite a garantire applicazioni concrete.

 

I super ricchi vs. tutti gli altri

Negli ultimi decenni la tecnologia si è ulteriormente evoluta grazie alla digitalizzazione, che ne ha permesso una diffusione istantanea e globale. Questo anche a livello macroeconomico, grazie all’accesso istantaneo al mercato mondiale, che ha portato il concetto di concorrenza su un piano nuovo, dove la lotta è spietata e c’è spazio quasi esclusivamente per il “best in class”.

Il fenomeno è stato ben tratteggiato dall’economista Sherwin Rosen nel suo saggio del 1981 intitolato “The Economics of Superstars” il cui incipit fornisce l’evidenza della sua analisi: “Il fenomeno delle Superstar, in cui un numero relativamente piccolo di persone guadagna enormi quantità di denaro e dominano le attività in cui si impegnano, sembra essere sempre più importante nel mondo moderno”. I consumatori sono sempre portati a scegliere il prodotto o il servizio di qualità più elevata e le Superstar emergono in tutta la loro potenza. Per esempio, se vogliamo utilizzare un motore di ricerca utilizzeremo Google: certo che ce ne sono altri, ma perché scegliere il “second best” quando possiamo accedere al migliore? Allo stesso modo la stragrande parte di noi gestisce le proprie relazioni digitali legate al tempo libero grazie a Facebook o quelle professionali grazie a LinkedIn, e così via.

Come ci ricorda Riccardo Barlaam in un suo articolo pubblicato sul Sole24Ore “Apple, Google, Facebook, Microsoft, Amazon sono colossi sovranazionali, più ricchi e potenti di intere aree del mondo. Capaci persino di influenzare i risultati delle elezioni americane. Nell’anno che si è appena chiuso, ogni minuto nel mondo vengono scambiati 16 milioni di messaggi, si spendono in media 750mila dollari su siti di e-commerce e 900mila persone entrano in Facebook. La pervasività delle «big five» si riflette anche sull’andamento borsistico: a Wall Street, l’S&P 500 ha archiviato l’anno con la performance migliore da otto anni a questa parte e un aumento vicino al 20%. Gran parte del merito va ai titoli tecnologici che hanno trainato i listini. Tra gli undici settori di cui è composto l’indice benchmark Usa, quello hi-tech ha messo un segno un rialzo di oltre il 37%.

 

Rivoluzione digitale e ceto medio

Esiste però un altro aspetto di questa “abbondanza concentrata” abilitata dalla digitalizzazione.
Erik Brynjolfsson e Andrew McAfeel nel loro libro ” La nuova rivoluzione delle macchine” riportano un interessante studio sugli USA con un confronto, a partire dal 1972, della produttività del lavoro e dell’occupazione: i due indicatori hanno crescite simili per tutto il dopoguerra ma hanno iniziato ad allontanarsi negli anni 90, momento nel quale la produttività ha continuato a crescere mentre l’occupazione ha avuto una frenata. Nel frattempo anche il PIL, gli investimenti aziendali e i profitti al netto delle tasse sono cresciuti a livelli record portando a ulteriori concentrazioni di ricchezza.

Quindi la tecnologia, accelerata dalla digitalizzazione, offre da una parte evidenti vantaggi e ci garantisce un mondo più abbondante, dove otteniamo sempre più output da meno input (come materie prime, capitale, lavoro), ma dall’altra è importate non illudersi che sia, per citare ancora le parole di Brynjolfsson e McAfeel, “una marea che solleva tutte le barche allo stesso modo”.

Lo confermano anche le statistiche contenute nel World Inequality Report 2018, basate su un database aperto contenente i dati relativi all’evoluzione storica della distribuzione mondiale di reddito e ricchezza e a cui hanno partecipato più di 100 ricercatori in 5 continenti.

Nei dati analizzati emerge che il 27% della ricchezza mondiale generata dal 1980 al 2016 è andata a vantaggio dell’1% dell’umanità più ricca mondiale, mentre il 50% della popolazione mondiale ha beneficiato solo del 12% della crescita. Il 4% della ricchezza complessiva generata nel periodo, inoltre, è andata allo 0,001% della popolazione mondiale, ovvero alle 78mila persone più ricche del mondo.

Ma il dato più preoccupante è il rallentamento, quasi la stagnazione, del tasso di crescita dei redditi della “classe media”: in uno degli scenari prospettati nella ricerca, nel 2050 il livello complessivo della ricchezza di quella che viene chiamata la “Global middle class”,rappresentante il 40% della popolazione, sarà lo stesso dello 0,15% delle persone più ricche.

Questo è uno dei fattori più allarmanti in quanto la classe media ha sempre rappresentato una barriera alla crescita delle disuguaglianze, garantendo al contempo l’esistenza di un “ascensore sociale” che ha consentito la diffusione del benessere. Questa crescita della disparità potrebbe portare alla creazione di istituzioni escludenti, diminuendo ad esempio l’accesso all’istruzione di qualità a persone di talento, ma con meno possibilità economiche.

 

La sfide future della tecnologia

Sempre Brynjolfsson e McAfeel scrivono: “La tecnologia non è l’unica forza che favorisce questo aumento della diseguaglianza, ma è una delle principali. Le odierne information technology favoriscono i lavoratori specializzati rispetto a quelli che non lo sono, aumentano i ricavi dei proprietari di capitale rispetto a quelli di manodopera e gonfiano i vantaggi delle superstar su tutti gli altri”.

Questo campanello di allarme è particolarmente importante in quanto ci avviciniamo ad un periodo in cui l’inclusione dovrà essere uno dei tratti fondanti. Sempre i due autori rilevano che “se la prima età delle macchine ha permesso di scatenare le forza dell’energia intrappolata nei legami chimici per ristrutturare il mondo fisico, la vera promessa della seconda età delle macchine è che contribuirà a scatenare il potere dell’ingegno umano” e avremo bisogno del contributo di tutti.

Siamo quindi di fronte ad un periodo in cui le future tecnologie tenderanno da una parte a favorire l’abbondanza e dall’altra ad aumentare le disparità.

Ancora una volta, a noi la sfida di indirizzarle nella decisione giusta, perché #thefutureisopensource!

Luca Tiraboschi
Luca Tiraboschi

Ambassador

Luca Tiraboschi è Ambassador e Contributor di Impactscool. Ha lavorato per molti anni in ambito Marketing e Servizi e ora si occupa di progetti omnicanale per un importante retail di consumer electronics.

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