Scienza e Medicina

Leggere il codice a barre del DNA per trovare nuove specie

29 July 2019 | Scritto da La redazione

Un team dell’università di Verona, guidato da Massimo Delledonne, grazie a un nuovo dispositivo, ha effettuato sequenziamenti di Dna nel Durmitor National Park, un’area del Montenegro formata da ghiacciai e caratterizzata da numerose grotte e fiumi sotterranei

Sono due milioni le specie di animali e piante a oggi identificate e nominate dall’uomo: si stima che siano solo il 20% di quelle esistenti, tutte le altre sono ancora da scoprire. Per farlo Massimo Delledonne, docente di Genetica dell’università di Verona, ha ideato un dispositivo portatile in grado di sequenziare il DNA e identificare così nuove specie in poco tempo. Il professore e il suo team sono da poco rientrati dal Montenegro dove hanno effettuato sequenziamenti di Dna nel Durmitor National Park, un’area del Montenegro formata da ghiacciai e caratterizzata da numerose grotte e fiumi sotterranei, che racchiude una straordinaria biodiversità ancora in gran parte sconosciuta.

La missione in Montenegro. Guidati da Menno Schilthuizen, docente di Evoluzione e biodiversità della Leiden university e da Iva Njunjić, biospeleologa ed esploratrice del National geographics specializzata nella classificazione di insetti delle caverne, Delledonne e il suo team sono saliti una montagna per raggiungere l’ingresso di una grotta, dove hanno scoperto un insetto ritenuto appartenente a una specie ancora non conosciuta. In quel luogo, hanno installato un vero e proprio laboratorio di sequenziamento del Dna. “È la prima volta che viene effettuato il sequenziamento del DNA in una grotta – dice Delledonne -, e siamo molto orgogliosi di aver raggiunto anche questo traguardo.  I miei collaboratori si sono esercitati a lungo per ridurre al minimo la probabilità di fallire, lavorando per ore nelle stanze fredde, con una temperatura di circa 4 gradi centigradi, del Dipartimento di Biotecnologie, ma ammetto che in grotta è stato tutto molto più difficile. Non avevamo considerato il maltrattamento a cui abbiamo dovuto sottoporre la strumentazione nel cercare di passare in cunicoli dove a malapena passavamo noi, e la difficoltà di passare così tante ore in un ambiente davvero difficile. Per fortuna, però, tutto è andato come speravamo. Abbiamo portato a casa dati di grande interesse anche per le aziende che ci hanno fornito della strumentazione davvero innovativa, senza la quale non saremmo stati in grado di raggiungere l’obiettivo”.

 

Il progetto e il dispositivo. La nuova tecnologia permette di scoprire in poche ore se si è di fronte ad una nuova specie, perché il “codice a barre” del Dna è univoco. “Caratterizzare una specie richiede tanto tempo – ricorda Delledonne – a volte anche un giorno intero di intenso lavoro al microscopio per studiarla e confrontarla con le specie già descritte per poi spesso scoprire che è già conosciuta. Da qualche anno, alla caratterizzazione tassonomica, cioè al microscopio, si è aggiunta la caratterizzazione basata sull’analisi del Dna, in particolare di quella che viene chiamata la regione barcode (appunto codice a barre n.d.r.)”. Il dispositivo ideato dal Delledonne è stato realizzato nell’ambito di progetto coordinato dall’università canadese di Guelph e coinvolge 30 partner internazionali. Lo studio mira a scoprire due milioni di nuove specie: ad oggi ne sono state classificate 1,8 milioni, ma si stima che in natura ce ne siano tra gli 8 e i 20 milioni.
“Il progetto Dna barcode, o Barcode of life, – prosegue Delledonne – ha come obiettivo di immagazzinare in una banca dati pubblica le sequenza di Dna appartenenti alle specie già caratterizzate, capendo immediatamente in questo modo se quella che si sta analizzando è conosciuta oppure no. Noi sequenziamo il Dna barcode direttamente sul campo, mentre l’approccio tradizionale prevede che i campioni raccolti nelle varie spedizioni vengano prima caratterizzati dai biologi evoluzionisti e poi spediti ad un laboratorio di analisi per il sequenziamento del Dna. Verona ha ribaltato la procedura – conclude Delledonne – portando il laboratorio di analisi laddove vengono trovate le specie. Un cambio di paradigma che permette di velocizzare l’intero processo, ma che richiede un avanzamento tecnologico considerevole che l’università scaligera è riuscita ad ottenere. Utilizzando strumenti sperimentali e tecnologie semplici ma efficaci, siamo riusciti a sequenziare il Dna nel corso della spedizione organizzata dall’associazione Taxon expedition”.

Le altre missioni. Quello concluso in Montenegro non è il primo e unico studio di questo tipo condotto dal gruppo di Genomica funzionale dell’università di Verona. A partire dal 2016, infatti, Delledonne e il suo team hanno condotto studi sul campo tra la Tanzania, il Congo e il Borneo.

La redazione
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