Scienza e Medicina

Maturità 2018: anche la bioetica è tema d’esame

27 June 2018 | Scritto da Thomas Ducato

Si sono ritrovati ad affrontare un tema complicato, per quanto affascinante, gli studenti e le studentesse all’ultimo esame di maturità: tra le tracce proposte per la prima prova, infatti, ha fatto capolino anche la bioetica. Abbiamo discusso di questa scelta con il professor Paolo Benanti, esperto di bioetica ed etica delle tecnologie.

 

Non è di certo passato inosservato l’esperimento dell’Accademia delle scienze cinese che ha portato alla clonazione dei due macachi Zhong Zhong e Hua Hua, la cui notizia è arrivata lo scorso gennaio attraverso la rivista Cell. Tanto che persino all’ultimo esame di maturità, le cui prove scritte si sono concluse all’inizio di questa settimana, la bioetica ha fatto capolino tra le tracce della prima prova, chiedendo ai maturandi di cimentarsi in un saggio breve riguardo al «dibattito bioetico sulla clonazione».
Ne abbiamo discusso con Paolo Benanti, francescano del Terzo Ordine Regolare, che si occupa di etica, bioetica ed etica delle tecnologie. “Dire che noi siamo la fotocopia di un DNA già esistito, come nel caso della clonazione umana, vuol dire toglierci l’incognita della nostra esistenza, che è la base di ogni libertà” – ci ha spiegato Benanti – “Se ci condanniamo ad essere vite già vissute dal punto di vista genetico con la clonazione umana, questo rischia di cancellare alla radice quella che è la libertà dell’uomo”.

 

La bioetica è stata tra i temi protagonisti dell’ultimo esame di maturità. Secondo lei, è importante che gli studenti inizino a esaminare questi temi con spirito critico? Hanno, però, gli strumenti per parlarne?
È vero che i temi che riguardano la sfera della bioetica sono ritenuti argomenti un po’ “caldi”, la cui discussione richiede buone capacità argomentative e conoscenze mediche, biologiche, filosofiche e un approccio al mondo del diritto. Se ci limitiamo a ragionare sulla bioetica in questi termini, ovviamente un ragazzo che si appresta ad affrontare l’esame di maturità non ha queste capacità. Tuttavia, negli ultimi anni la bioetica è diventata un tema sempre più di attualità: è arrivata sempre più spesso sulle pagine dei giornali, acquisendo tanto i vantaggi quanto i limiti della divulgazione al pubblico, cioè la capacità di raggiungere più persone, attraverso una serie di notizie e informazioni precise che creano opinioni e dibattito, sganciate però da qualunque tipo di formazione. Anche per questo il fatto che la scuola cominci ad occuparsene è un segno positivo: si stanno indirizzando gli studenti verso una ricerca che sa anche farsi mediatrice della verità, e da questo punto di vista direi che lo sbarco di questi temi, primo fra tutti la bioetica, all’esame di maturità è lodevole.

 

Negli ultimi anni con l’evoluzione tecnologica il dibattito sui temi bioetici si è ampliato. Rispetto all’inizio, quando al centro c’era la clonazione (con il caso della pecora Dolly), oggi la discussione tocca molti più temi, alcuni dei quali più vicini ai ragazzi e a quello che vedono tutti i giorni.
Se noi prendiamo in considerazione il lessico della bioetica, cioè tutti i termini legati a questo tema, oggi abbiamo circa 400 lemmi, mentre vent’anni fa non superavano i 20 o 30. Per fare un esempio dell’evoluzione di questi temi, possiamo prendere in esame due movimenti culturali che si muovono attorno alla bioetica, che oggi sono particolarmente diffusi e che intercettano questo tema in modo molto importante. Alla fine degli anni ’60 si sono registrati due movimenti, uno in Europa e uno negli Stati Uniti. Negli USA i giovani hanno iniziato a contestare il potere, creando una loro cultura di sapere fondata dal basso, la cultura hacker. L’hacker creava le proprie conoscenze nel mondo dell’informatica, che stava iniziando ad affacciarsi tra i programmi delle università, non dipendendo dai grandi produttori ma creando delle soluzioni alternative a partire dalle informazioni in loro possesso in maniera non canonica. Si può dire che questo tipo di cultura, da cui sono nati anche alcuni dei grandi dell’informatica di oggi, è l’inversione della conoscenza, che non proviene da fondi ufficiali ma è autoprodotta all’interno di circoli ristretti di persone. Contemporaneamente, in Europa e soprattutto in Francia si sviluppa la rivolta studentesca e giovanile, in cui i ragazzi per la prima volta si identificano con qualcosa di diverso, e in modo conflittuale, rispetto agli adulti: nasce la body art, con cui il corpo diventa luogo di identità e protesta.

 

Cosa c’entrano questi movimenti con il dibattito bioetico di oggi?
A 50 anni dal ’68 questi due movimenti confluiscono e danno luogo al biohacking: sempre più spesso ci sono sperimentatori di questioni biologiche sul loro corpo che operano come gli hacker di una volta, cioè creando dei sottosaperi non verificati dall’alto utilizzandoli su loro stessi. Quindi creano delle sostanze alterate geneticamente, se le iniettano o si installano dispositivi, alterando il loro corpo. Allora mettere le mani sul proprio corpo, seguendo informazioni che non sono legate ad alcun sapere medico ma in modo molto sperimentale, è una cosa che incuriosisce parecchio i giovani. Ecco, dunque, che il tema di maturità sulla bioetica, con riferimento anche alla clonazione, in questo contesto diventa molto attuale. Una forma molto blanda del biohacking, per esempio, è la cultura del tatuaggio: è un modificare l’estetica del proprio corpo. Non si modifica nulla di organico, ma il filone è lo stesso.

 

Nella traccia dell’esame si faceva riferimento alla carta fondamentale dei diritti dell’Unione europea dove, in modo più o meno diretto, si fa riferimento a questi temi. Non è il momento di aggiornare questi documenti, visto l’esplosione della disciplina, e ampliare il dibattito coinvolgendo i giuristi e la politica?
Quando il termine bioetica è stato coniato negli USA si è scelto di utilizzare, non a caso, il plurale, bioethics. Questo per sottolineare proprio che l’impatto sulla vita di questa disciplina coinvolge numerosi settori e molte discipline: biologia, medicina, filosofia, diritto. Se l’800 è stato il secolo in cui abbiamo declamato la dignità umana, le tragedie del ‘900 ci hanno detto che se questa non si traduce in diritti umani è possibile calpestarla e cancellarla in un attimo.
Alla luce di questo è chiaro che questo orizzonte di tutela e protezione deve necessariamente far parte dell’orizzonte europeo del diritto. Non scordiamoci che le più grandi battaglie dell’800 erano proprio per dire “siamo tutti uguali”. Editing genetico, clonazione, manipolazione del DNA, potrebbero in realtà, per la prima volta nella storia dell’umanità, creare dei “diversi biologici d’ufficio”. Allora è chiaro che la questione dei diritti è centrale, ma i diritti nascono solo da una costruzione di dialogo sociale: questo dovrebbe essere un compito non solo della scuola ma di tutti, bisogna aprire le piazze di confronto e creare degli spazi di discussione in cui le diverse competenze possano fondare un diritto comune.

 

Limitare la scienza sembra anacronistico. Sembra però che la scienza e i cittadini, anche quelli con ruoli decisionali, viaggino su due binari diversi e con velocità differenti. È necessario dunque porre dei limiti alla scienza per salvaguardare la persona? Ci sono aspetti dell’”umano” che devono essere considerati intoccabili?
Quando parliamo di clonazione o di editing genetico parliamo di ricerca finanziata anche da privati, di brevetti, di impresa. Agli ambiti di ricerca devono essere aggiunte quindi le logiche di mercato, e bisogna tenere conto della distanza che c’è tra la possibilità tecnica e quella morale. Alcuni sostengono che sia necessaria una sorta di neutralità etica del mondo della ricerca scientifica, per cui un ricercatore avrebbe ogni forma di autonomia o libertà morale, in quanto è soggetto solo alle leggi scientifiche del settore in cui opera., La morale viene percepita come una limitazione alla libertà scientifica, che preclude la possibilità di ottenere altri risultati o nuove scoperte.
Non esiste, però, una neutralità etica: per fare un esempio, se noi facciamo una ricerca che va a vantaggio solo di poche persone ricche già abbiamo fatto una scelta che eticamente non è neutra. È compito della riflessione etica accompagnare la ricerca tecnica e tecnologica. Allora l’intervento di ingegneria genetica o clonazione di cui parliamo, reso possibile dalle nuove scoperte scientifiche, deve sottostare a questa domanda: è lecito o illecito? Lecito è ciò che va a favore della libertà dell’uomo, mentre illecito è tutto ciò che nega la dignità dell’uomo stesso.

 

Quali sono le sfide etiche più grandi che dovremo affrontare?
Direi che sono essenzialmente tre le sfide che dovremo affrontare in futuro.
La prima è la biopolitica, una nuova forma di potere che non può essere lasciata a sé stessa: deve essere normata perché non arrivi un potere assoluto che dica qual è il patrimonio genetico che ha diritto di vivere ed esistere e quale no.
La seconda grande sfida, invece, è di tipo commerciale. Possiamo brevettare la vita umana? E come possiamo far conciliare la necessità di brevetti e l’universalità della vita, che non è proprietà brevettabile da nessuno? La tensione tra privato e pubblico, tra la proprietà e l’impossibilità della proprietà è qualcosa che animerà la discussione dei prossimi anni.
La terza grande sfida è sull’identità dell’uomo. Se la vita diventa una cosa tecnica, che possiamo quasi fotocopiare, che possiamo manipolare come vogliamo, che cosa vuol dire essere uomini? La vera grande sfida, qui, non è capire quale e quanta tecnica si può applicare, ma capire chi è l’uomo.

Thomas Ducato
Thomas Ducato

Direttore di Impactscool Magazine. Laureato in Editoria e giornalismo all’Università di Verona e giornalista pubblicista dal 2014, si occupa delle attività di ufficio stampa e comunicazione di Impactscool, curandone anche i contenuti, la loro diffusione e condivisione.

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