Robotica e AI

Una scintilla di empatia tra macchine

25 February 2021 | Scritto da Benedetta Bozzoli

I robot possono provare empatia? Un esperimento della Columbia University dimostra che potrebbe essere possibile.

Secondo il risultato di un esperimento, pubblicato sulla rivista Scientific Report, un robot dotato di intelligenza artificiale è riuscito a prevedere i comportamenti di un altro robot semplicemente osservandone le azioni. Questo tipo di interazione è decisamente comune tra gli esseri umani, la cosa incredibile è che tra le due macchine coinvolte nell’esperimento la scintilla di empatia si sia accesa senza bisogno che venisse fornita alcuna informazione, è servita solo una telecamera montata sul primo robot che riprendeva il secondo.

 

L’esperimento. Durante l’esperimento condotto dal team di ingegneri della Columbia University guidati dall’ingegnere Hod Lipson, il primo robot, su cui era montata una telecamera, osservava da una posizione rialzata il secondo robot che poteva muoversi liberamente su un tavolo. Il suo obiettivo era quello di raggiungere delle macchie verdi, simbolo del cibo. Tuttavia, qualche macchia era nascosta da alcuni ostacoli. Il primo robot, osservando la scena dall’alto, è riuscito a prevedere quando il secondo non sarebbe riuscito a vedere (e quindi ad arrivare) al cibo, e le sue previsioni sono risultate corrette nell’oltre 98% dei casi. L’esperimento ha rivelato che la complessità degli algoritmi che guidano queste macchine abbia raggiunto un livello tale che potrebbe sembrare quasi che le macchine possano sviluppare una teoria della mente, una caratteristica tipica delle creature intelligenti presente negli umani e nei primati.

 

La teoria della mente (o ToM, dall’inglese theory of mind), è un’abilitàintuitiva che apprendiamo fin dalla più tenera età, qualcosa di assolutamente normale per noi. Grazie a essa siamo infatti in grado non solo di metterci nei panni del nostro interlocutore per capirne le emozioni e i comportamenti, ma siamo anche capaci di prevedere alcune sue azioni. Studi di neuro-imaging e ricerche condotte su lesioni cerebrali hanno permesso di individuare le basi neurobiologiche della teoria della mente. Nel lobo temporale del nostro cervello si trovano i neuroni specchio, ossia neuroni che si attivano quando svolgiamo un’azione, ma anche quando vediamo la stessa azione svolta da un’altra persona. I neuroni specchio sono importanti nell’apprendimento per emulazione e hanno anche un importante ruolo nell’empatia, in quanto si attivano quando osserviamo un comportamento o proviamo la stessa emozione di un’altra persona. Il fatto che anche una macchina mostri caratteristiche che potremmo definire empatiche, le fondamenta di una teoria della mente, e chepossa prevedere i comportamenti di un’altra macchina apre numerosi scenari.

 

La Uncanny Valley. È appurato dunque che le interazioni dei robot con noi diventeranno (e stanno già diventando) sempre più complesse e articolate, ma cosa proviamo nei confronti dei robot? I nostri sentimenti sono strettamente collegati al loro aspetto. Questo fenomeno è stato approfondito da Masahiro Mori professore di robotica, famoso per i suoi studi sul rapporto emotivo uomo-robot. In pratica, quando una macchina ha sembianze vagamente umane, tendiamo ad immedesimarci e a provare quindi empatia nei suoi confronti. Ma più il robot assomiglierà ad un vero e proprio essere umano, più l’inquietudine prenderà il posto dell’empatia. Questo fenomeno ha assunto il nome inglese di Uncanny Valley (la valle perturbante in italiano), poiché in un grafico che illustra lo stimolo emotivo di un umano suscitato da un robot, si registra un notevole calo nel caso in cui il robot abbia un aspetto troppo “umano”, una vera e propria valle insomma!

 

Il ruolo di robot empatici sarà di certo fondamentale in ambito aerospaziale tra qualche anno. Durante le lunghe missioni spaziali su Marte (e forse anche oltre), uno dei principali problemi non sarà di natura tecnica, ma psicologica. Essere un astronauta in viaggio nello spazio è di certo un’esperienza entusiasmante, ma all’entusiasmo potrebbe anche affiancarsi la solitudine di essere lontani da casa e di non vedere per lunghi periodi di tempo amici e famigliari. Un robot capace di provare empatia gioverebbe quindi alla salute mentale degli astronauti. La NASA, in collaborazione con l’azienda tech australiana Akin, sta infatti sviluppando dei sistemi di intelligenza artificiale che siano in grado di ravvisare le diverse emozioni, positive o negative, e reagire di conseguenza. Anche nel settore automobilistico questa tecnologia troverà largo impiego, in particolare nelle macchine a guida autonoma. Un fattore che fa tentennare qualcuno sull’affidabilità di queste macchine è infatti proprio l’imprevedibilità. Gli ingegneri della Mercedes hanno dunque creato un prototipo di cooperative car, dotato di luci azzurre che segnaleranno ai pedoni e agli altri automobilisti ciò che la macchina sta per fare. In questo modo si sostituirà gradualmente il cenno di passare che fa il guidatore al pedone ad un incrocio.

 

Le applicazioni dei robot empatici nella nostra vita saranno dunque molteplici, ma come in tutte le cose, c’è anche l’altra faccia della medaglia, ossia numerosi aspetti critici e questioni etico sociali da affrontare. In primo luogo, una macchina in grado di provare empatia potrebbe essere utilizzata, oltre che per salvaguardare la salute mentale degli astronauti come già detto, anche per assistere anziani e disabili. Ma che effetti può avere, da un punto di vista psicologico e sociale, su una persona l’avere un rapporto così stretto con quella che è a tutti gli effetti una macchina? Un altro interrogativo che dobbiamo porci è fino a quale punto possiamo lasciare una macchina libera di prendere decisioni in completa autonomia? Non si parla certo di scenari distopici da film di fantascienza, in cui i robot assumono il controllo del pianeta Terra sottomettendo la razza umana, ma pensiamo al classico esempio dell’intelligenza artificiale che guida una macchina elettrica e che nel momento in cui viene coinvolta in un incidente deve scegliere chi salvare. A questo proposito, un gruppo di ricercatori del Massachusetts Institute of Technology (MIT) ha proposto un sondaggio chiamato Moral Machine, ricevendo milioni di risposte da persone di 233 paesi. Il sondaggio era articolato in diversi quesiti, che proponevano vari scenari di incidenti, ai partecipanti veniva chiesto chi ritenevano fosse giusto salvare, le risposte sono risultate diverse da paese a paese, frutto anche dei diversi ambienti socio culturali in cui i partecipanti vivono. Le variabili da tenere in considerazione sono dunque molte, la questione merita senza dubbio attente considerazioni filosofiche, o per meglio dire roboetiche, campo dell’etica applicato alla robotica e di cui, sembra, avremo sempre più bisogno in futuro.

Benedetta Bozzoli
Benedetta Bozzoli

Studentessa al liceo scientifico internazionale. Sono appassionata di tecnologie emergenti e intelligenza artificiale di cui mi piace comprendere i cambiamenti che porteranno nelle nostre vite.

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