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Etica e riflessione sul futuro: perché diventare #futuremakers

14 January 2019 | Scritto da Cristina Pozzi

Lo studio del futuro è profondamente legato alla riflessione etica e al concetto di responsabilità. Sia perché è un’attività che caratterizza l’essere umano ed il suo agire, sia perché rappresenta un atto di altruismo per un sé futuro o verso un terzo ignoto nel presente.

Emanuel Kant, nella sua riflessione sulla conoscenza sensibile, individuava fin dal primo periodo della sua produzione filosofica, alcune forme del pensiero che inevitabilmente interferiscono sulla percezione del sensibile.
Non saremmo in grado di conoscere le cose come sono in sé dal momento che le modifichiamo necessariamente nel procedimento percettivo adattandole alle forme della nostra intuizione.

Tali forme, per il filosofo, sono spazio e tempo ed esistono a priori nella nostra mente. Si potrebbe dire, tracciando un parallelo riduttivo rispetto alla straordinaria complessità che caratterizza il nostro cervello e l’essere umano, che spazio e tempo siano il sistema operativo del pensiero.
Il tempo, secondo il filosofo, ricopre una posizione apicale nella definizione del pensiero umano dal momento che lo spazio, senso esterno, non può fare a meno del tempo, senso interno, essendo esso stesso percepito attraverso quest’ultimo.
L’intuizione fondamentale qui è che il nostro pensare è inevitabilmente permeato dal concetto di tempo che diventa dunque centrale in una riflessione più ampia sull’essere umano.

L’antropologia oggi ci dice che le nostre capacità di pensare il tempo e progettare il futuro sono proprio alla base della nostra evoluzione, differenziandoci dagli altri animali e abilitando l’essere umano a diventare produttore di tecnologia, agricoltore, abile stratega, cacciatore e molto altro.

 

Alla ricerca della sostanza del futuro

Ma cosa significa pensare il futuro?

Proviamo per un attimo a partire dall’osservazione di un bambino e della sua capacità di percepire e pensare il tempo, utilizzandolo come strumento per la propria intuizione. Secondo alcuni recenti studi, i bambini durante il periodo dell’infanzia vivono nel presente, in un tempo sospeso in cui «ieri» diventa qualsiasi cosa avvenuta nel passato e «domani» qualsiasi cosa che deve ancora avvenire. La separazione dal genitore che esce alla mattina per andare al lavoro, un bernoccolo o una sbucciatura sono dolori presenti e intensi perché il bambino non ne conosce la durata né la soluzione: nei primi tempi, non ha abbastanza esperienza per sapere che il dolore cesserà e che il genitore tornerà a casa. Solo verso i tre o i quattro anni il bambino inizia a immaginare il futuro innestando un processo di crescita che si sviluppa fino ai sedici anni, momento in cui l’immagine del futuro si arricchisce di dettagli e inizia a somigliare di più a quella di un adulto. Gli anziani, al contrario, sembrano avere una capacità di «viaggiare» nel tempo davvero notevole, spaziando tra passato e futuro con il proprio pensiero.

Gli studi suggeriscono che queste differenze sorgono dal momento che la sostanza del futuro sarebbe racchiusa nei nostri ricordi. Il bambino non riesce a immaginare il futuro fino a che non ha «immagazzinato» abbastanza ricordi così come l’anziano ha una grande capacità di immaginazione del tempo grazie alla maggior quantità di ricordi ed esperienze, per così dire, «cumulati».
Il nostro cervello dunque svolgerebbe un’attività intensa di raccolta e categorizzazione dei ricordi e delle esperienze da utilizzare poi al bisogno per creare immagini del futuro da mettere a nostra disposizione.

 

Futuro come responsabilità

Ma a disposizione per cosa? A cosa serve questo intenso lavoro? La risposta è: per prendere decisioni e, in ultima istanza, agire. Senza la capacità di immaginare il futuro non saremmo in grado di operare scelte né tanto meno di agire. Il futuro e il tempo sono dunque chiavi fondamentali per il nostro agire e per la nostra stessa natura umana.

Pensare al futuro e costruire possibili scenari mentali, dandoci modo di prendere decisioni più informate, ci dona la libertà.
Ma la libertà e la possibilità di prendere decisioni portano con sé il peso della scelta e della responsabilità e ci portano inevitabilmente nel campo pratico della filosofia morale.

Parlare di futuro significa, dunque, parlare del valore morale delle nostre azioni unendo da un lato l’intenzione e dall’altro una responsabilità di valutare i possibili risultati e impatti delle scelte intraprese. Ecco dunque il primo collegamento profondo tra lo studio del futuro e quello dell’etica. Primo perché non è l’unico.

Proviamo ora ad affrontare il discorso da un altro punto di vista per esplorare altri possibili legami tra etica e futuro.

 

Futuro come vantaggio competitivo

Possiamo definire un creativo come colui che è in grado di vedere un futuro diverso dagli altri e di realizzarlo. Prendiamo l’esempio di Steve Jobs: quando i primi rumors hanno annunciato che Apple avrebbe lanciato un telefono cellulare la comunità internazionale è stata scettica e non ha compreso la portata della proposta dell’innovatore. Ma Steve aveva anticipato un futuro di lì a venire e aveva deciso di realizzarlo da pioniere guidando il resto delle persone alla sua scoperta.

Quando Elon Musk ha deciso di investire una fortuna nella realizzazione di un’auto elettrica di lusso e di iniziare l’avventura di Tesla, a sua volta ha ricevuto critiche, sorrisi e ironie. Ancora una volta si trattava di qualcuno che aveva immaginato un futuro plausibile ma non diffuso nel nostro immaginario e che aveva deciso di agire in quella direzione.

Questo tipo di vantaggio può nascere anche dalla capacità di reagire rispetto a uno scenario non desiderabile ma che si manifesta ugualmente. Pensiamo ad esempio a questo caso: dopo la crisi energetica degli anni Ottanta, Shell fu più veloce a rialzarsi rispetto ad altre compagnie. Il motivo va cercato nella recente abitudine di Shell di sviluppare le proprie strategie basandosi su concetto di Scenario Planning. Costruendo svariati scenari futuri e sviluppando strategie per ognuno di esso, seppur non in grado di stabilire i tempi della crisi, Shell era stata in grado di immaginarla come possibile sviluppo futuro e essere pronta a reagire di conseguenza.

Futuro dunque come vantaggio competitivo che porta capacità di creare nuove opportunità, di coglierle o di reagire a scenari critici con maggior velocità.

I primi due casi citati si differenziano radicalmente dall’ultimo: i primi sono esempi di un agire attivo e intenzionale, l’ultimo è un caso di re-azione, è in qualche modo passivo, seppure possibile solo grazie a una preparazione preventiva.

Entrambe le tipologie ci interessano però perché condividono un aspetto fondamentale: aver immaginato un futuro diverso, che si trattasse di quello in cui siamo sempre connessi tramite i nostri dispositivi mobili o di un futuro in cui anche i motori elettrici possono avere prestazioni e un’efficienza paragonabili a quelli tradizionali, o, ancora, di un futuro  in cui la dipendenza del sistema globale degli approvvigionamenti è troppo concentrata su alcune zone geografiche, è stato il primo passaggio fondamentale di queste tre storie.

Se non ho immaginato un determinato futuro, difficilmente potò agire spingendomi nella sua direzione o preparando piani reattivi in caso si verifichi.

 

Un futuro condiviso: il ruolo sociale dell’immaginario

Proprio perché pensare al futuro è il fondamento per l’azione, come collettività ci impegniamo di più in questa attività solitamente quando siamo insoddisfatti del presente.
Un concetto di futuro che preveda solo predizioni e reazioni possiamo dire che è incompleto. Un futuro, invece, che contiene in sé anche obiettivi, un piano strategico e l’intenzione di compiere gli sforzi per realizzarlo è completo e soprattutto utile alla collettività.

Così quando le cose non vanno, iniziamo a immaginare come potrebbero essere per ispirarci e muoverci in una nuova direzione.
Essere in grado di immaginare, condividere e creare un futuro migliore per la collettività è una scelta dall’enorme valore in termini di impatto sociale che può essere fatta da un singolo pioniere o da una moltitudine di persone, oggi anche grazie alla capacità di collegamento offerta dalle tecnologie.

Ecco il secondo motivo per cui parlare di futuro è una scelta etica con impatti sociali che vanno oltre al benessere proprio e del singolo ma possono estendersi all’intera collettività definendo le sorti degli esseri umani.
Ecco anche perché quando ci interroghiamo sul futuro non possiamo mai perdere di vista i valori e la centralità dell’essere umano con l’obiettivo di preservarli e portarli con noi nel viaggio verso un nuovo tempo.
Non esiste però un solo modo di approcciare attività: i più utili, quelli da perseguire, sono quelli che pongono la responsabilità su ognuno di noi.

Esistono infatti modi di trattare il futuro che, al contrario invitano all’immobilismo: oracoli e oroscopi rischiano di non essere altro che un modo di evitare il peso della responsabilità annegando in un destino già scritto sul quale non abbiamo potere alcuno, non siamo responsabili degli eventuali fallimenti e nel quale non esiste spazio per la nostra libertà.

 

Futuri migliori o peggiori?

Tutte le altre forme di futuro sono invece degne di essere pensate ed esplorate in modo creativo. Tutte hanno infatti un ruolo nel determinare il nostro agire.

Le cosiddette distopie ci presentano possibili scenari in cui qualcosa o tutto è andato storto aiutandoci a visualizzare i possibili risvolti negativi delle nostre scelte o «non scelte» di oggi.  Senza distopie non coglieremmo il peso della nostra responsabilità.

Le utopie, seppure probabilmente irrealizzabili per definizione, sono invece un modello da perseguire che ci guida come una bussola nel nostro agire quotidiano. Senza di esse saremmo paralizzati in un tempo senza tempo.

Questo è uno dei problemi principali della nostra epoca: mancano visioni di futuro condivise da porre come obiettivo plausibile e preferibile a livello collettivo e che siano in grado di traghettarci verso la prossima epoca.

I futuri molto lontani, al contrario di quanto possa sembrare, sono inoltre un modo fantastico per cogliere differenze più nette e marcate rispetto al presente. Dopotutto se pensiamo al futuro non possiamo non pensare al cambiamento e archi temporali più ampi ci permettono di notare meglio le differenze.

 

Il futuro come responsabilità morale

Prendersi cura del futuro è un atto di puro altruismo: le conseguenze non ricadono infatti su di noi ma su un ipotetico essere umano del futuro che non abbiamo modo di conoscere.

In periodi come questo, in cui viviamo una crisi di visione e rischiamo di trovarci a navigare a vista in assenza di un obiettivo chiaro e condiviso, abbiamo la responsabilità e anche l’opportunità di riflettere sulle conseguenze delle nostre azioni, di scegliere i valori che vogliamo vedere nella società dei nostri figli e nipoti e di comportarci di conseguenza.

Possiamo diventare «future makers»: designer e costruttori di futuri intenzionali.

Cristina Pozzi
Cristina Pozzi

Contributor

Cristina Pozzi si definisce una Future Maker, un’attivista che mira alla divulgazione del futuro e della riflessione etica sulle nuove tecnologie emergenti. È Co-fondatrice e Amministratore Delegato di Impactscool.

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