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La rivincita degli e-Sport

30 April 2020 | Scritto da Alberto Laratro

Con gli stadi e i campi da gioco chiusi a causa della quarantena il mondo dell'intrattenimento sportivo si sta interessando sempre più agli e-sport, siamo pronti a tifare per giocatori virtuali?

Galliani, l’AD del Monza, avrebbe fatto saltare una partita che si sarebbe dovuta tenere fra Italia e Spagna. Il motivo? La squadra iberica avrebbe deciso di schierare al fianco dei calciatori… un videogiocatore professionista. Il ragazzo si chiama Jaime Gravesen Alvarez ed è uno dei top 30 migliori pro gamer al mondo di FIFA20. La partita fra le due nazionali, infatti, si sarebbe dovuta tenere nei campi virtuali del famoso videogioco di calcio. In questo periodo, in cui tutti gli stadi e le arene del mondo sono avvolte dal silenzio a causa della pandemia del nuovo coronavirus, gli e-sport stanno trovando una nuova dimensione, coinvolgendo nuovi pubblici e portando anche gli sportivi nel mondo delle competizioni videoludiche. Che sia il momento di iniziare a prenderli sul serio?

 

Sport o non sport? Il dibattito va avanti da sempre, gli e-sport sono da considerarsi un’attività sportiva, con tutto quello che ne consegue, o si tratta solo di una nuova forma di intrattenimento videoludico? Secondo i detrattori non si tratta di “veri sport” ma di “competizioni” di videogiochi, secondo altri le necessarie capacità di coordinazione, riflessi, tempismo, pianificazione e capacità di esecuzione permetterebbero di inserirli fra gli sport. Per altri sono considerati come “mind sports”, come gli scacchi per intenderci.

Segnali che qualcosa sta cambiando si trovano ovunque. Nel 2013 il giocatore di League of Legends canadese Danny “Shiphtur” Le ha ricevuto una visa P-1A per entrare negli Stati Uniti, un documento che definisce gli atleti di stampo internazionale. Nel 2014 il ministero della gioventù e dello sport turco ha iniziato a fornire ai videogiocatori licenze che li classificano come agonisti. La Francia dal 2016 sta lavorando a un progetto per regolamentare e riconoscere gli e-sport.

 

Per ora niente Olimpiadi. Nel 2017 il Comitato Olimpico Internazionale (IOC) ha dichiarato che “Gli e-sport competitivi potrebbero essere considerati un’attività sportiva dato che i giocatori coinvolti si preparano e si allenano con un’intensità che può essere paragonabile agli atleti negli sport tradizionali”, nonostante questo, però, nessun e-sport è entrato nel novero delle discipline olimpiche. Una caratteristica chiave che l’IOC ha considerato è la violenza del gameplay: per quanto non ci sia ancora nulla di concreto, gli eventuali e-sport che potrebbero venire presi in considerazione sarebbe quelli in cui non è l’obiettivo del gioco “uccidere” gli altri giocatori. Ok quindi per i simulatori sportivi come FIFA20 o NBA 2K, retro-front per titoli più “vivaci” come i vari Call of Duty, League of Legends e Starcraft.

Sta di fatto che anche il comitato per le olimpiadi estive del 2024 a Parigi ha preso in considerazione gli e-sports, soprattutto come mezzo per ravvivare l’interesse dei più giovani, concludendo però che i tempi sono ancora prematuri per avere un computer nel mezzo di un’arena e un videogiocatore su un podio.

Qualsiasi definizione gli si voglia dare gli e-sport sono un fenomeno in rapida ascesa, con un mercato che nel 2019 ha sfiorato il miliardo di dollari annuo e che presenta una crescita stimata del 10% e un pubblico che si attesta nell’ordine dei centinaia di milioni di spettatori, cifre, queste, esplose nell’ultimo periodo a causa della pandemia: Newzoo, piattaforma di riferimento per il mercato degli e-sports, stima che entro 2023 questo settore superarerà il valore di 1 miliardo e mezzo.

 

E-sport e coronavirus. Forse la spinta extra per portare gli e-sport alle luci della ribalta e fuori dalle – enormi – nicchie delle piattaforme di streaming come Twitch, che nell’ultimo mese ha visto un aumento del proprio traffico del 30%, potrebbe arrivare proprio dalla pandemia che stiamo affrontando. Eventi sportivi in tutto il mondo sono sospesi, ma la fame di contenuti sportivi da parte del pubblico non è certo calata. In tutto il mondo si moltiplicano casi di squadre di sportivi che si sfidano a colpi di controller nei videogiochi del loro sport. Si assiste a strani casi in cui atleti famosi controllano la loro versione digitale nei campi sportivi fatti di pixel, come nel caso della star dell’NBA Kevin Durant, Trae Young e altri giocatori professionisti che parteciperanno a un torneo di NBA 2K2020, l’ultimo capitolo del titolo di pallacanestro della software house TakeTwo Interactive, trasmesso in diretta sul canale sportivo Disney ESPN. La FOX invece ha trasmesso un torneo di NFL, il football americano, il 29 marzo che ha visto atleti come Michael Vick sfidare i propri avversari su Madden 20, il videogioco di football della EA, con il fine di raccogliere donazioni da devolvere alla lotta al Covid-19. Si disputando in questo periodo il torneo di tennis di Madrid in versione virtuale, e lo stesso vale per il MotoGP e la Formula 1 che vede i piloti impersonare i loro avatar virtuali.

 

Cambiare prospettiva. Se il mercato e le organizzazioni sportive si stanno accorgendo pian piano del potenziale degli e-sport, il pubblico spesso percepisce le competizioni videoludiche ancora come una perdita di tempo. Ma il mondo dei pro-player va ben oltre lo stare seduti davanti allo schermo a giocare. I componenti dei team più quotati, con sponsor e contratti da centinaia di migliaia di euro, devono sottostare a rigide diete, allenamenti fisici e lezioni di strategia sulle squadre avversarie, oltre a capire la matematica che governa il mondo virtuale per poterla dominare con le proprie capacità per continuare a mantenere l’altissimo livello di prestazioni che li rendono capaci di vincere riconoscimenti e premi da capogiro. Giusto per citarne un paio, il campione di Singapore del gioco DOTA2 Daryl “iceiceice” Koh si è portato a casa nel 2018 1.5 milioni di dollari; più recentemente Kyle Giersdorf, un sedicenne della Pennsylvania ha visto 3 milioni di dollari al torneo mondiale di Fortnite. Forse è giunto il momento di cambiare prospettiva.

 

Alberto Laratro
Alberto Laratro

Laureato in Scienze della Comunicazione e con un Master in Comunicazione della Scienza preso presso la SISSA di Trieste ha capito che nella sua vita scienza e comunicazione sono due punti fermi.

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