Video Notizie

Usare il DNA come un hard disk

25 July 2019 | Scritto da La redazione

Dall’editing genetico alla medicina personalizzata: una maggiore conoscenza del nostro DNA ci sta offrendo  possibilità fino a qualche tempo fa inimmaginabili. Ma tra i suoi utilizzi potrebbe essercene uno inaspettato

Una delle parole d’ordine di questo periodo storico sembra essere “dati”, le nostre informazioni hanno assunto un’importanza centrale nella discussione tecnologica e dei suoi impatti. Ci preoccupiamo sempre di più del loro utilizzo e della loro sicurezza e, uno dei motivi, potrebbe essere legato alla quantità di dati che produciamo. Siamo macchine sforna dati, costantemente, la nostra semplice attività online è una fucina di informazioni personali e non. Post sui social network, foto, video, mail: ogni giorno, si stima, produciamo 4.5 miliardi di gigabyte e questa cifra è destinata a salire vertiginosamente con la diffusione sempre più capillare dei dispositivi IoT: assistenti virtuali, sistemi di domotica ed elettrodomestici intelligenti.

In un futuro non troppo lontano potremmo trovarci davanti a una carestia di sistemi di memorizzazione con relativi problemi di natura economica, tecnologica e addirittura sociale vista l’importanza dell’informatica in operazioni di natura sensibile nella nostra società come trasferimenti di denaro, gestione di cartelle sanitarie e organizzazione e logistica di trasporti su larga scala. È necessario quindi trovare nuovi modi di immagazzinare grandi quantità di dati e uno di questi l’abbiamo sempre avuto sotto al naso. O sarebbe meglio dire che è proprio parte di noi.

 

Il DNA come disco rigido. Il DNA è il nostro codice sorgente, il sistema operativo della vita: lunghe stringhe di codice formato da quattro lettere (A, T, G, C – corrispondenti a quattro molecole, dette basi azotate: Adenina, Timina, Guanina e Citosina) con all’interno tutte le informazioni necessarie per sintetizzare tutte le molecole che compongono il nostro organismo. Si tratta di una quantità enorme di dati stipati in uno spazio microscopico, il nucleo cellulare. In fin dei conti il DNA si comporta proprio come un sistema di immagazzinamento dati e sarebbe quindi possibile sfruttarlo per conservarli come si farebbe con un hard disk, l’unica differenza sarebbe che al posto del silicio ci sarebbe materiale biologico. Per farlo bisogna trasformare i bit in basi azotate e quindi sintetizzare il DNA risultante. Non si tratta di un processo troppo complicato, ma è certamente un’operazione che richiede molto tempo. Esistono infatti già modi e dispositivi in grado di farlo ma con un grande dispendio economico e di tempo: dei ricercatori di Microsoft e dell’Università di Washington sono riusciti a codificare la parola “HELLO”. Il tempo richiesto per l’operazione? 21 ore. Non si tratta però del primo caso di testi o immagini memorizzate nel DNA: Già nel 2012 alcuni ricercatori di Harvard avevano iniziato a studiare il DNA come possibile strumento di archiviazione dati, salvando 52.000 libri in un singolo frammento di DNA. Oppure nel 2016, alcuni ricercatori di Harvard riuscirono a salvare una GIF nel DNA di un organismo vivente e successivamente trasferirla in un batterio.

Prima di poter vedere questa tecnologia sul mercato sarà necessario riuscire a renderla incredibilmente più veloce, così da poter competere con i sistemi digitali e più economica ma vista la straordinaria accelerazione di questo ambito, basti pensare che il genoma umano è stato sequenziato per la prima volta nel 2003 con uno sforzo internazionale multimilionario durato 13 mentre oggi è possibile farlo con una spesa accessibile a tutti in pochi giorni.

La redazione
La redazione

leggi tutto