Checkout Technologies, la nuova sfida di Enrico Pandian
20 June 2018 | Scritto da La redazione

Abbiamo intervistato il fondatore di Supermercato24 e gli abbiamo chiesto di presentarci la sua nuova start up e di raccontarci cosa significa per lui fare innovazione.
Di fronte all’introduzione, allo sviluppo e alla diffusione delle nuove tecnologie è facile farsi prendere dall’entusiasmo e partire con un nuovo progetto imprenditoriale. Decisamente più complicato è, invece, avere un’idea di successo che, grazie anche a un modello di business affidabile, riesca a produrre valore e sfondare sul mercato.
Che cosa significa realmente fare innovazione? L’abbiamo chiesto a Enrico Pandian, imprenditore veronese e fondatore, tra le altre, della startup Supermercato24, oggi impegnato con una nuova sfida, quella di Checkout Technologies, azienda che sviluppa reti neurali convoluzionali per la Computer Vision, che consentiranno ai clienti dei punti vendita di fare acquisti senza passare dalla cassa. Di recente Checkout Technologies è stata premiata a Pechino come migliore startup europea, un riconoscimento che non ha un risvolto economico immediato ma che sta contribuendo a raggiungere un maggior numero di clienti e ad attirare nuovi investitori.
Enrico, sono quasi 20 anni che fondi startup. Cosa significa per te fare innovazione?
Nel corso di questi anni la mia idea sul significato della parola innovazione è cambiata: all’inizio penavo che significasse fare qualcosa che non c’è nel mercato o, agli inizi, era semplicemente fare qualcosa su internet. Bastava questo per fare innovazione. Andando avanti, grazie alle esperienze maturate in questi anni, mi sono reso conto che per fare davvero innovazione occorre sviluppare una tecnologia che prima non esisteva e che ha un forte impatto sulla scienza. L’ultima società che ho creato, Checkout Technologies, è la mia prima impresa che reputo realmente innovativa. Prima di Checkout Technologies mi sono sempre occupato di attività come Marketplace e consumer web. Con questa impresa è diverso: le uniche altre realtà che si occupano delle nostre stesse attività sono centri di ricerca universitari, anche se Checkout Technologies si basa su una logica startup, diversa da quella accademica.
A volte per fare innovazione non serve per forza fare qualcosa di completamente nuovo, ma è “sufficiente” fare meglio o in modo diverso qualcosa che c’è già. È così?
Tutto è basato sul livello di rischio che una startup vuole prendersi. Se si vogliono limitare i rischi il consiglio è di prendere qualcosa che già esiste e funziona bene in un altro Paese, portarlo in Italia, replicarlo e partire da qui per fare innovazione. In questo modo si ha già una base, dei concetti sviluppati e testati da altri che si possono portare facilmente in un nuovo contesto. È il modo più facile e sicuro per fare innovazione, forse poco creativo, almeno inizialmente, ma che offre risultati già a breve termine. Quando si fa quella che reputo “la vera innovazione”, cioè qualcosa che non esiste, ci vogliono più investimenti e molto più tempo, però il risultato finale è molto più grande. Per fare un esempio, se con Supermercato24 mi aspetto che un investitore faccia 10-20 volte il suo capitale investito, con un’azienda come Checkout Technologies mi immagino faccia 100 volte tanto. Questo per sottolineare la diversità tra queste due realtà, sono due mondi completamente differenti. Quando fai “innovazione vera” hai un rischio, non c’è una strada già segnata ma devi crearla tu ed è molto probabile fare degli sbagli. Quindi bisogna saper sbagliare, rialzarsi e riprovare, riprovare e riprovare ancora. La nostra logica è “try and error”, prova e sbaglia.
Entriamo nel merito di Checkout Technologies, come funziona e qual è la tecnologia che sta alla base dell’azienda?
La nostra è una società che sviluppa reti neurali convoluzionali per la Computer Vision: semplificando, da un flusso video ripreso con una videocamera riusciamo a capire quello che sta avvenendo nelle immagini, senza l’aiuto di un operatore umano ma grazie a un sistema di intelligenza artificiale. Questa tecnologia permette, per esempio, di registrare le azioni degli utenti all’interno di un punto vendita e quindi di consentire loro di fare acquisti senza passare dalla cassa.
Un’idea simile a quella di Amazon Go, dunque. In che modo è diversa la vostra proposta e come supera i limiti di Amazon Go?
Quando abbiamo iniziato ad analizzare i brevetti di Amazon Go ci siamo accorti di un problema: le connessioni hanno dei limiti di banda e Amazon inizialmente non ne teneva conto. Quindi aveva un sistema centrale che elaborava tutti i flussi di informazioni, creando un collo di bottiglia: impediva, per esempio, a più di 20 utenti di stare all’interno del supermercato perché non riusciva a elaborare tutti i dati. Noi, invece, abbiamo creato un’infrastruttura modulare, a puzzle, che abbiamo brevettato e che ci permette di gestire centinaia di utenti in contemporanea. In questo modo abbiamo superato il primo grande scoglio ma ovviamente andando avanti si trovano ulteriori difficoltà. In un anno abbiamo registrato ben sei brevetti e questo fa capire quanto spazio ci sia per innovare in questo ambito ma allo stesso tempo di quanto sia importante mettere dei paletti alle altre realtà che operano nel settore e sapersi “proteggere”.
Uno degli elementi con cui si può misurare il successo di un’innovazione è senza dubbio la sua diffusione. Come pensate di superare il “problema” delle abitudini consolidate degli utenti? Pensate possano accogliere in modo positivo la rivoluzione che si prospetta?
A livello tecnologico siamo passati dal pc, che ci costringeva ad andare a casa o in ufficio per fare determinate operazioni, ad avere uno smartphone sempre in mano, che ci consente di fare tutto ovunque ci troviamo. Il prossimo step, a mio avviso, è quello di avere delle intelligenze artificiali che sono nell’aria, che non percepiamo ma che sono presenti e analizzano i nostri comportamenti, interpretandoli. Questo è esattamente quello che proponiamo con Checkout Technology, senza richiedere all’utente azioni aggiuntive rispetto ai suoi normali comportanti. Credo che, come per ogni tecnologia, all’inizio adozione e diffusione potrebbero essere lente, ma i tassi di crescita sono esponenziali. In parte la rivoluzione dell’intelligenza artificiale sta già avvenendo: non c’è solo la “computer vision” ma ci sono gli assistenti vocali, i device che si controllano con i gesti e i movimenti e molto altro. Alcuni di questi sono già entrati nelle nostre abitudini e nemmeno ce ne siamo accorti.
E cosa rispondete a chi ha paura che con l’introduzione di sistemi come il vostro tolga il lavoro a dipendenti “in carne e ossa”?
La figura dell’operatore nei supermercati non sarà eliminata, ma semplicemente ricollocata. Pensare che si toglieranno posti di lavoro è un concetto molto limitato e soprattutto legato a un ragionamento a breve termine. Nel momento in cui non serviranno più i cassieri nei supermercati serviranno altre figure, l’interfaccia umana ci vorrà e questo è indiscutibile. In particolare, il cassiere svolge un ruolo meccanico, è come se fosse un robot che legge dei codici a barre, la componente umana non esiste, non c’è nulla di valoriale in quel tipo di attività. Dobbiamo assegnare a queste persone altre mansioni, spostarle tra gli scaffali a raccontare i prodotti, affidare a loro la produzione di alimenti freschi da consumare immediatamente, ci sono moltissimi altri impieghi, che potrebbero anche valorizzare maggiormente i dipendenti.
Sei abituato a far nascere startup e imprese innovative e poi lasciarle andare. Cosa provi a lasciare un progetto che hai fondato e allo stesso tempo a immergerti subito in una nuova idea?
Qualche anno fa ho capito che non devo innamorarmi dei miei progetti perché questo condiziona le mie scelte, spesso in negativo. Non tutti i progetti che ho avviato sono andati bene, molti sono andati male proprio perché volevo farli andare bene a tutti i costi. Quello che reputo particolarmente importante, invece, è lasciare bene una società: quando si decide di prendere strade nuove bisogna lasciare in eredità capitali in cassa per far andare avanti l’azienda e un management team funzionante e rodato. Io negli anni mi sono reso conto che faccio fatica a gestire gruppi composti da oltre 10 persone, quindi a volte la scelta di andar via e dedicarmi ad altri progetti è stata anche per il bene della società stessa.
Ripartire con nuove idee, invece, è sempre un grande stimolo. Sento anche a livello personale una crescita, sono partito da progetti molto basici e oggi mi occupo di cose più complesse e futuristiche. La prossima startup credo che lo sarà ancora di più.