Future Society

Industria fast fashion e moda sostenibile

24 April 2019 | Scritto da La redazione

Il settore tessile è fra i più impattanti a livello ambientale con risvolti che toccano anche la sfera etica e quella sociali

Eco fashion, moda riciclata e fair trade sono nuovi approcci alla moda, un settore che necessita di un profondo cambiamento dato che, stando all’ultimo rapporto stilato dalle Nazioni Unite, è la seconda industria più inquinante al mondo, dopo quella del petrolio. Gli indumenti della fast fashion, cioè tutti quei capi di abbigliamento che vengono prodotti in modo rapido ed economico, producono emissioni inquinanti in ogni fase della loro lavorazione, dalla produzione fino allo smaltimento, passando per il lavaggio.

Parlare di moda sostenibile significa trattare fattori ambientali, etici e sociali.

 

L’impatto ambientale. L’industria della moda produce ogni anno miliardi di capi, un sovrannumero di articoli che quando rimane invenduto viene bruciato provocando importanti emissioni di anidride carbonica. Le fibre sintetiche hanno gli effetti peggiori sull’ambiente, i materiali plastici derivanti dal petrolio non sono risorse rinnovabili così come le fibre artificiali e la viscosa: tessuti di questo tipo, al pari di nylon, elastan e poliestere non sono biodegradabili e, con il lavaggio, rilasciano minuscoli frammenti – le famigerate “microplastiche” – che dallo scarico della lavatrice vanno a finire nei fiumi, nei laghi e nei mari, accumulandosi nelle acque provocando un importante danno ambientale.

Secondo lo IUCN, International union for Conservation of Nature, tra il 15% e il 31% delle microplastiche presenti negli oceani, infatti, deriva principalmente dai lavaggi in lavatrice.

Altro fattore di rischio causato dai materiali che compongono questi tessuti è il bioaccumulo, un processo attraverso cui le microplastiche entrano nel nostro organismo dalla pelle e a lungo andare possono aumentare la probabilità che insorgano gravi patologie.

Non sono da sottovalutare nemmeno le fibre naturali, apparentemente preferibili. Per esempio, la produzione di lana causa importanti esalazioni di metano. I gas serra, infatti, provengono dal bestiame, responsabile del 10% circa delle emissioni globali. La fibra naturale più utilizzata è il cotone ma, anch’esso trattato con fertilizzanti e pesticidi. Sarebbe meglio scegliere capi costituiti da fibra di bambù o lino, alternative più sostenibili in quanto hanno una rapida crescita e necessitano di meno risorse naturali.
In Italia vigono leggi rigide sull’utilizzo di prodotti potenzialmente dannosi, ma il pericolo arriva dall’estero: le ispezioni doganali non riescono a fermare tutti i capi importati.

 

Riuso e riciclo della moda. Per affrontare questa drammatica situazione, è nata la moda “Green”, una moda eco-sostenibile: non solo grazie all’utilizzo di materiali a basso impatto, come i già citati lino e fibra di bambù, ma la moda sta riscoprendo anche il valore del riciclo creativo. In molti oggi vedono nella possibilità di dare nuova vita ai tessuti una vera possibilità per il futuro del settore: a essersi mossi in questa direzione non sono solo i marchi di nicchia, ma anche alcuni grandi brand hanno iniziato a prestare particolare attenzione all’argomento. Tra questi c’è The North Face che con il progetto “The North Face Renewed” propone sul mercato articoli rinnovati, provenienti da capi di abbigliamento resi, difettosi o danneggiati. Il riciclo dei materiali per la moda potrebbe essere una seconda possibilità non solo per gli indumenti ma anche e soprattutto per il nostro Pianeta.

Il riciclo come mezzo per salvaguardare il pianeta n questi giorni viene messo in esposizione in una mostra, Susteinable Thinking, a Firenze, presso il museo Salvatore Ferragamo. Una delle sezioni è dedicata completamente alla moda sostenibile, vari approcci con un unico fil-rouge: la seconda vita di materiali di scarto. Da abiti ottenuti dalle reti da pesca a quelli realizzati con stampanti 3D, passando per t-shirt composte interamente da fibre di buccia d’arancia.

 

Fashion Revolution Week. Invertire la tendenza si può ed è per questo che dal 22 aprile è in corso una campagna a favore di una moda sostenibile. L’iniziativa è promossa da Fashion Revolution, una community no profit fatta di designer, accademici, scrittori, imprenditori, politici, rivenditori, operatori di marketing, produttori, lavoratori e tutti gli amanti della moda che credono in un settore che valorizzi tutte le componenti di questa industria: le persone, l’ambiente, la creatività e il profitto. Con questa iniziativa Fashion Revolution invita le persone ad indossare un capo al contrario, scattare una foto e postarla sui principali social usando gli hashtag #WhoMadeMyClothes e #FashRev.,

Carry Somers, co-fondatrice di Fashion Revolution ha dichiarato nel proprio sito web: “Quando tutto nell’industria della moda è focalizzato sul profitto, i diritti umani, l’ambiente e i diritti dei lavoratori vengono persi. Questo deve finire, abbiamo deciso di mobilitare le persone in tutto il mondo per farsi delle domande. Scopri. Fai qualcosa. L’acquisto è l’ultimo click nel lungo viaggio che coinvolge migliaia di persone: la forza lavoro invisibile dietro ai vestiti che indossiamo. Non sappiamo più chi sono le persone che fanno i nostri vestiti, quindi è facile far finta di non vedere e come risultato milioni di persone stanno soffrendo, perfino morendo.”

 

Sfruttamento del capitale umano. La Fashion Revolution Week mira a sensibilizzare i consumatori anche sulle condizioni di lavoro della manodopera del settore della moda, per orientare sempre più persone verso la scelta di un abbigliamento sostenibile nel rispetto delle persone.

Il settore tessile, infatti, è fra le industrie che maggiormente sfrutta il lavoro degli esseri umani e che viola i diritti fondamentali, attraverso salari bassissimi, mancanza di sicurezza e rischi per la salute, precarietà contrattuale. La maggior parte dei grandi marchi fast fashion fanno confezionare i propri vestiti in Paesi dove il costo del lavoro è basso, principalmente in Asia, creando enormi quantità di abiti di scarsa qualità spesso rimangono invenduti.

Il mondo della moda, così come tanti altri settori, deve cambiare, dal punto di vista tecnologico, etico e sociale se vuole sopravvivere in un mondo che ha sempre più bisogno di cambiamento.

 

(a cura di Lisa Tanozzi)

La redazione
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