Robotica e AI

Lo sviluppo dell’IA fra sostenibilità ambientale e impatto dei makers

7 August 2019 | Scritto da Alberto Laratro

Intervista a Piero Poccianti, presidente dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza artificiale (AIxIA)

L’intelligenza artificiale è una di quelle tecnologie esponenziali che negli ultimi anni stanno rivoluzionando moltissimi settori. Gli algoritmi, diventando sempre più precisi e complessi, comportano però un notevole incremento dell’elettricità necessaria per permettere alle macchine di funzionare. Un aumento della richiesta energetica per maggiori capacità di calcolo che corrisponde inevitabilmente ad un aumento del rilascio di CO2 in atmosfera. Una reale minaccia per la sopravvivenza del nostro pianeta per la quale è fondamentale la realizzazione di infrastrutture tecnologiche sempre più efficienti. Un progetto importante in cui possono giocare un ruolo significativo non solo le grandi aziende ma anche, e forse soprattutto, la community dei makers, persone interessate al “fai-da-te” digitale.

Uno dei punti di incontro di questa community è Campus Party, manifestazione che riunisce appassionati di tecnologia e creatività, la cui ultima edizione si è tenuta a Milano dal 24 al 27 luglio. Fra gli ospiti dell’evento, a cui ha partecipato anche Impactscool con un suo workshop, Piero Poccianti, presidente dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale (AIxIA) che ha tenuto uno speech intitolato “Stato dell’arte e prospettive dell’Intelligenza Artificiale: architetture Cloud, Fog e Edge”. Un intervento voluto e pensato per illustrare quelle che sono le architetture dell’AI oggi a disposizione dei makers e per mostrare la possibilità di sviluppare un’AI eco-friendly. L’abbiamo intervistato proprio su questi temi.

 

Spesso pensiamo che l’AI sia in mano ai grandi colossi tecnologici, è realmente così la situazione?

Se osserviamo gli sviluppi più recenti, in particolare se ci concentriamo sulle Deep Neural Network, che stanno avendo un grande successo in questo momento, direi che la risposta è sì. Queste grandi società, non soltanto americane ma anche cinesi, stanno sviluppando macchine dalle enormi capacità di calcolo. Se consideriamo invece l’intelligenza artificiale nel suo complesso vediamo che l’Europa è ancora un punto di riferimento per quanto riguarda la ricerca, soprattutto quella di base. Il problema è in prospettiva perché molti giovani ricercatori europei vengono attirati e conquistati dalle grandi company americane e cinesi con importanti offerte economiche neanche lontanamente paragonabili a quelle europee.

 

Ha spiegato prima che questi grandi colossi hanno successo perché hanno potenza computazionale, ma immagino che per produrre questa potenza di calcolo serva tanta energia. Quali sono gli impatti, sia dal punto di vista economico che da quello ambientale, dello sviluppo e utilizzo dell’IA?

Nel 2016 una nota diramata dall’agenzia per l’ambiente francese affermava che ogni megabyte scambiato su internet libera circa 0.6 grammi di CO2 nell’ambiente. Se facciamo i calcoli è evidente che stiamo liberando delle considerevoli quantità di energia, qualcuno indica addirittura che il 7% dell’energia venga consumato dall’elaborazione dei dati su internet. Emblematico è il libro “How bad are bananas: the carbon footprints of everything” di Mike Berners-Lee un ricercatore americano che pone l’attenzione sul costo, in termini di liberazione di CO2, della produzione di oggetti, come ad esempio una banana o una mela, ma anche di semplici attività quotidiane come un video scambiato su internet.

Proprio queste semplici attività quotidiane, come lo streaming e il trasferimento di dati, sono in realtà due operazioni che consumano moltissime risorse energetiche. E se pensiamo alle architetture Cloud, impiegate nelle grandi aziende, che richiedono lo spostamento di una grande mole di dati, i problemi non si fermano solo a livello ambientale. Abbiamo infatti anche la tematica della privacy visto che le multinazionali detengono informazioni, talvolta anche sensibili, soggette a rischi di data leak.

La centralizzazione dei dati nei grandi Cloud e Data Center riflette purtroppo il modello economico attuale, dove il “grande” prevale sul “piccolo”. Ma se dobbiamo rispettare l’ambiente, se dobbiamo cominciare a pensare che consumare di più non necessariamente comporta un miglioramento allora, probabilmente, capiremo che quei grandi data center vanno ridimensionati.

 

Ci sono altri modi per diminuire gli impatti ambientali?

L’IA stessa può essere uno strumento prezioso per ottimizzare i consumi energetici, mostrandoci non solo quanto e dove consumiamo, ma anche come limitare i consumi. Questa dinamica è valida sia per gli aspetti energetici che per l’agricoltura di precisione e l’ottimizzazione dei processi.  Dobbiamo inoltre tenere in considerazione l’esistenza di architetture come quelle Edge e Fog capaci di ridurre enormemente l’impatto enormemente, rappresentando una valida alternativa al Cloud.

Le architetture Edge consentono di elaborare i dati sul dispositivo dove vengono prodotti. Pensiamo ad esempio ad una telecamera di sicurezza. Da una parte tutti i video vengono indirizzati verso un cloud che analizza le informazioni in tempo reale, dall’altra possiamo decidere di affidarci ad un sistema Edge che, grazie ad un piccolo device installato nella telecamera, analizza e riconosce le situazioni di rischio. In quest’ultimo caso da quella stessa telecamera non uscirà più indistintamente tutto il flusso dei dati ma, solo un allarme qualora si registrasse un’attività di pericolo del tipo “c’è qualcuno mascherato che è entrato in casa”.

 

Le architetture Fog invece in cosa si differenziano?

Le architetture Fog sono delle strutture intermedie in cui si usano dei server il più vicino possibile alla fonte di elaborazione dei dati, quindi non sul device originario ma in prossimità. Questo sistema viene largamente impiegato nell’agricoltura di precisione che ricorre a strumenti, come sensori e droni, che consentono di controllare un campo coltivato, di sapere quando annaffiarlo e utilizzare il pesticida, magari riducendo al minimo l’utilizzo di questi elementi. Il problema è che questo tipo di soluzioni vengono adottate in Africa o in India, paesi carenti di infrastrutture dove la connessione Internet è scarsa. Qui risiede proprio il vantaggio delle architetture Fog perché il sistema riesce a localizzare e ad inviare i dati all’elaboratore funzionante più vicino.

Questa tipologia di architettura è più efficace non solo da un punto di vista ambientale e di consumi ma anche di funzionamento perché, non essendo un sistema centralizzato, non si arresta quando manca un elemento come può essere la connessione o la possibilità di raggiungere un server lontano. Per fare un parallelismo, è un po’ il concetto che distingue la monarchia dalla democrazia.

 

A proposito di democrazia, in contrapposizione ai colossi che concentrano buona parte del potere computazionale, qual è il ruolo dei makers e della loro community, che ha incontrato recentemente al Campus Party, rispetto lo sviluppo dell’IA?

Campus Party è stata un’esperienza particolare, c’erano molti ragazzi giovani ma mi aspettavo ancora più cose sui makers, ancora più creazioni dei ragazzi. A prescindere però è stato interessante incontrarli e vedere il loro entusiasmo contagioso verso il futuro.

I makers, che possono essere considerati gli artigiani del futuro, si avvalgono di tecnologie nuove come le stampanti 3D e potrebbero davvero rivoluzionare il mondo. Durante il mio intervento ho illustrato gli strumenti Edge e Fog di cui parlavamo prima perché da una parte ho voluto mostrar loro che si può sviluppare l’AI in modo eco-friendly, dall’altra ritengo che questi sistemi, a basso costo e semplici da progettare, siano particolarmente adatti per la loro community. Inoltre, ho voluto far comprendere loro che si possono combinare diverse modalità e che il Cloud non deve essere necessariamente usato, si può impiegare anche solo  solo per addestrare l’AI e poi trasferirla dentro un piccolo device. In fondo, come affermava Schumacher, economista tedesco, “piccolo è bello”.

Ce ne siamo dimenticati di quei concetti ma secondo me sono ancora validi, è chiaro che abbiamo bisogno di cambiare il modello economico, di distribuire meglio le risorse e di attingere all’inventiva delle persone. La creatività di questi nuovi artigiani secondo me può essere un mezzo per il cambiamento profondo del modello economico che va verso il rispetto del pianeta.


La ricerca invece come si posiziona in questa scacchiera?

La ricerca, soprattutto in Europa, è portata avanti dal mondo accademico che al momento vanta ancora una posizione di leadership. Anche se non è facile, ci sono movimenti che stanno cercando di mantenere la ricerca a livelli di eccellenza, ponendo l’uomo al centro e tenendo conto degli impatti ambientali, economici e di privacy: i documenti europei pubblicati da parte degli esperti sono molto validi. Credo che sia l’unico modo per l’Europa per riconquistare, o non perdere, la leadership conquistata, altrimenti verremmo schiacciati come in una morsa fra la Cina e America.

Dobbiamo anche capire come trasferire la conoscenza generata dalla ricerca al mondo imprenditoriale in modo equo. Le grandi aziende infatti hanno la possibilità di crearsi laboratori e avere contatti costanti con il mondo dell’università. Le PMI invece, e gli artigiani di cui parlavo prima, in questo modello non ne hanno la possibilità. È necessario trovare strumenti nuovi per diffondere la conoscenza dal mondo della ricerca verso questi soggetti.

 

Secondo lei perché l’Europa sta perdendo questa gara?

Perché sia Cina che America stanno investendo molte risorse, anche e soprattutto economiche. Probabilmente, però, trascurando completamente i fattori umani o quelli che possono essere gli impatti ambientali. Forse l’Europa ha una tradizione culturale diversa, che può essere interpretata come un freno allo sviluppo ma se riusciamo a considerarla un valore, come è successo con il GDPR, probabilmente riusciremo a indirizzare la nostra astronave nella giusta direzione. Se l’Europa perde questa battaglia, forse non sarà la sola a perderla.

 

 

Alberto Laratro
Alberto Laratro

Laureato in Scienze della Comunicazione e con un Master in Comunicazione della Scienza preso presso la SISSA di Trieste ha capito che nella sua vita scienza e comunicazione sono due punti fermi.

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