Cambiamento climatico e ambiente

Rivoluzione nel mondo del restauro: il biorestauro ed il criterio ecologico

18 April 2019 | Scritto da Giovanna La Vecchia

Anche l’inquinamento danneggia il nostro patrimonio storico e culturale: in soccorso arriva il nuovo progetto per risanamento, manutenzione, conservazione e restauro sostenibile

L’Italia ha un patrimonio culturale e artistico unico nel mondo e, non a caso, il nostro Paese detiene il primato di siti Unesco. Questo patrimonio, però, subisce un lento e costante deterioramento, anche a causa dell’inquinamento, che si traduce in cedimenti strutturali e danni. Tale processo, si inserisce nel ciclo della trasformazione della materia ed è gestito da fattori fisici, biologici e chimici, specifici per ogni monumento.
Alcuni microorganismi, però, sono in grado di avviare processi virtuosi con il risultato di bio-consolidare l’opera senza danneggiare l’ambiente. La loro naturale attività produce sostanze compatibili chimicamente e strutturalmente con le pietre carbonatiche, conferendo resistenza e coerenza al substrato da risanare.

Il Progetto “Innovazione di prodotto e di processo per una manutenzione, conservazione e restauro sostenibile e programmato del patrimonio culturale”, è un’iniziativa finanziata dal MIUR nell’ambito del bando “Smart Cities and Communities” con l’obiettivo di sviluppare tecniche innovative di Bio-risanamento a base di biocidi organici naturali, ottenuti da microrganismi antagonisti che si attivano in risposta ad altri microorganismi, responsabili del deterioramento dei monumenti. Inoltre, il progetto prevede l’utilizzo, come sistema di Bio-mineralizzazione, di microorganismi colonizzatori autoctoni in grado di indurre la precipitazione di carbonato e, quindi, il consolidamento strutturale.

Abbiamo incontrato Laura Scrano, ricercatrice del Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo dell’Università della Basilicata.

 

Quando e dove nasce il progetto? Chi lo gestisce e lo cura?

Il progetto nasce nel 2010 nell’ambito del Dottorato Internazionale “Crop Systems, Forestry and Environmental Sciences”.
Conoscere come l’ambiente naturale ma, soprattutto, quello antropico siano responsabili del deterioramento del nostro patrimonio culturale è stato l’argomento della prima ricerca che ha visto impegnati una dottoranda ed uno studente per la sua tesi di laurea magistrale in Tecnologie agrarie.
Questa ricerca ha messo in evidenza, sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo, come clima e attività antropica influenzino e, in alcuni casi, accelerino il “decay” del materiale lapideo utilizzato per monumenti e residenze storiche. È emerso che alcuni microorganismi autoctoni, colonizzatori naturali del materiale lapideo, hanno una capacità “ricostruttiva”, producendo bio-calcite che si integra perfettamente con il supporto calcareo colonizzato.
La sperimentazione è continuata grazie al finanziamento da parte del MIUR del progetto “Innovazione di prodotto e di processo per una manutenzione, conservazione e restauro sostenibile e programmato del patrimonio culturale” che vede la collaborazione delle Università della Basilicata, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, l’Università dell’Aquila, l’Università “La Sapienza” di Roma e una compagine industriale che traduce in pratica applicazione i ritrovati della ricerca scientifica.
L’obiettivo del progetto è ricercare e sviluppare nuove tipologie di prodotti non nocivi per la salute umana, a basso impatto ambientale, altamente selettivi e a basso costo per il recupero dei beni storico-culturali e realizzare azioni ed interventi per la gestione delle risorse disponibili e per le politiche culturali mediante lo sviluppo di una piattaforma tecnologica di programmazione degli interventi preventivi di manutenzione.

 

 A che punto è la ricerca?

La ricerca è ancora in corso. La procedura metodologica è stata definita ed è stato chiarito che ogni bene è un unicum e non è possibile generalizzare e procedere indiscriminatamente ai trattamenti ricostruttivi e/o conservativi. Inoltre, è emerso che è necessaria una preventiva caratterizzazione chimico-fisica del supporto su cui intervenire; successivamente è possibile procedere correttamente con la biopulizia e il bioconsolidamento.

 

Il nuovo metodo applicato allunga i tempi di restauro o rimane invariato l’intervento in termini di tempo e di impegno?

I tempi si allungano ma i risultati sono migliori poiché i batteri autoctoni normalmente presenti sul bene producono bio-calcite compatibile e incorporata con il substrato. Si evita l’utilizzo di materiali che nel lungo periodo potrebbero arrecare danno al bene.

 

Rispetto alla vecchia metodologia di intervento cosa cambia?

Il modo di pensare e di intervenire. Non più interventi “in emergenza” e su interi edifici/monumenti. Il monitoraggio del bene deve essere costante e gli interventi di manutenzione devono essere tempestivi quando si osservano piccoli segni di cedimento o danno biologico a livello puntuale.
Spesso gli interventi di pulitura sono fatti in “emergenza”, in occasione di visite importanti, mostre o urgenti lavori di consolidamento strutturale. La necessità di risolvere in fretta induce ad utilizzare prodotti chimici, se non tecniche di abrasione con sabbia o con polveri speciali arricchite di ossidi metallici nanodimensionati. Naturalmente, il primo impatto è sul tecnico o operaio che manualmente opera la pulizia. In altri casi meno avari di tempo, può essere utilizzato un lavaggio con acqua o una soluzione detergente ma spruzzata ad alta pressione sul bene da pulire. L’effetto abrasivo del getto d’acqua (e acqua con detergente) asporta lo strato più superficiale, diffondendo nell’atmosfera un particolato sottile disperso nelle e fra le goccioline d’acqua (e detergente).
La biopulizia e il bioconsolidamento sono tecniche invece che richiedono programmazione e tempi non proprio brevi, ma il risultato che se ne ottiene non ha paragoni.
Si tratta di una vera e propria rivoluzione che consentirà grandi traguardi per la salvaguardia di opere ed ambiente.

 

Cosa permetterà tale nuovo metodo? Quali sono i vantaggi?

Trattamenti puntuali con prodotti naturali che tutelano il bene, la salute degli operatori e di noi tutti.
In particolare, il nuovo metodo spinge a prevedere un’accurata programmazione, evitando i trattamenti d’emergenza mediante tensioattivi, chelanti e solventi organici.

 

Dove, quando e come è applicabile tale ricerca/metodo? Quali beni possono essere trattati con la nuova metodologia?

Al momento i nostri studi sono indirizzati esclusivamente al materiale lapideo (monumenti, residenze storiche) con piani di monitoraggio e manutenzione programmati e costanti.

 

Questa nuova metodologia sostituirà completamente la precedente?

Nel primo periodo potrebbe essere necessario procedere parallelamente con metodi tradizionali e innovativi. Successivamente, potranno essere attivati piani di monitoraggio e conservazione programmati. Il nostro patrimonio monumentale è immenso e, per ogni caso, occorre predisporre un’analisi dei costi e dei benefici con piani di ammortamento decennali o ventennali, sostenuti da un contemporaneo approccio di sviluppo turistico e utilizzazione del bene.

 

Cosa è cambiato nel corso degli anni?

È sicuramente aumentata la consapevolezza del valore del patrimonio posseduto in termini di storia, di economia e di attrattività turistica nonché la cognizione di un più ampio rapporto spazio-temporale negli interventi che da “eccezione” diventano “programma”.

 

Qual è l’approccio delle nuove generazioni al restauro?

Le nuove generazioni sono il nostro motore propulsivo e sono molto impegnate ed interessate a questa attività, anche dal punto di vista degli sbocchi lavorativi e della scelta universitaria e professionale. Il MIUR di concerto con il Ministero dei Beni Culturali ha attivato, insieme con alcune Università, un Corso di laurea magistrale a ciclo unico in “Conservazione e restauro dei beni culturali” (abilitante ai sensi del d.lgs.42/04) di cui al D.M. 87/2009. Questo corso, della durata di cinque anni, forma e abilita alla professione di restauratore dei beni culturali attraverso un percorso ampio e strutturato che coniuga solide competenze culturali in ambito umanistico e scientifico con lo sviluppo dell’abilità manuale e con la consapevolezza dei problemi di ordine etico e deontologico relativi alla conservazione e al restauro dei beni culturali. Tutti i giovani iscritti sono impegnati in opere di restauro reale che devono essere realizzate e valutate prima della tesi di fine studio.

 

Qual è attualmente la situazione del recupero dei beni in Italia?

Bisogna precisare che il patrimonio culturale e monumentale in Italia è localizzato per la maggior parte nelle città, ed è pertanto soggetto ai danni che derivano dalle emissioni dei combustibili oltre che dal deterioramento dovuto ad agenti naturali quali vento e pioggia. Il degrado pertanto è un fenomeno “prevedibile” ed è necessaria una costante verifica dello stato di conservazione dei beni e della velocità di deterioramento, per identificare e programmare gli interventi conservativi, manutenzione continua, precisa e puntuale, e non interventi frammentari. Il paese con il più alto numero di siti culturali deve, dunque, mettere in azione politiche preventive piuttosto che curative al fine di ottimizzare le risorse a disposizione. Il Ministero dei Beni Culturali, in questi ultimi anni, ha avviato una imponente campagna volta al consolidamento, al restauro e alla valorizzazione del patrimonio nazionale. Purtroppo sono necessarie molte risorse.

 

Si tratta dunque di un lavoro da svolgere con una equipe di professionisti di diversa estrazione? (biologi, medici, archeologi)

È un lavoro multidisciplinare: non è possibile lavorare in “compartimenti stagni” ma è necessario condividere conoscenze e integrare competenze.

 

Come ha reagito a tale innovazione la “vecchia guardia”?

Le aziende non sono ostili, al contrario condividono la necessità di modificare i protocolli dei trattamenti e di utilizzare prodotti ecocompatibili che tutelano salute ed ambiente.

 

Quali sono state le realtà interessate?

Casi di studio sono stati due ponti storici situati in due realtà antropiche differenti (industriale, la prima, e agricola la seconda) della regione Basilicata: il ponte di San Vito ed il ponte Della Vecchia. Più recentemente, due chiese rupestri di Matera Santa Lucia alle Malve e San Pietro Barisano.
Le aree di intervento sono innumerevoli, le possibilità molteplici ed i risultati ottimali. E’ uno sguardo sulla salvaguardia non solo delle opere interessate ma del nostro futuro. Un grande risultato per le nuove generazioni che potranno affrontare il loro lavoro con una diversa sensibilità e preparazione scientifica. Orientare il futuro in una direzione e con una consapevolezza completamente diverse rispetto al passato. Si tratta di un enorme passo avanti non solo per gli addetti ai lavori ma per l’intera umanità.

Giovanna La Vecchia
Giovanna La Vecchia

Giornalista, scrittrice, capo ufficio stampa, ha studiato a Roma dove ha vissuto per trent’anni collaborando con La Repubblica nella sezione viaggi e cultura. Autrice di due romanzi (Le apparenze e Skandha) e di una silloge di poesie (Se perdo me) ha collaborato con numerose case editrici per la stesura e la pubblicazione di racconti, favole, prefazioni, recensioni e guide turistiche.

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