Editoriali

In Italia non siamo a prova di futuro

27 November 2018 | Scritto da Cristina Pozzi

L’ultimo report del World Economic Forum è chiaro: in Italia ci sono ancora delle difficoltà per quanto riguarda il saper affrontare il futuro. Ma cosa possiamo fare per rendere l’Italia, una volta per tutte, a prova di futuro?

Il nostro sistema legislativo non è pronto al futuro e rischia di bloccare la possibilità per l’Italia di affrontare da protagonista la quarta rivoluzione industriale. Nella classifica pubblicata ogni anno dal WEF che analizza la capacità di un sistema paese di essere competitivo in un mondo sempre più tecnologico, innovativo e veloce, l’Italia presenta parametri eccellenti ma, ne spicca uno, nel quale la nostra posizione è tra le peggiori del globo, la capacità del governo di affrontare il futuro.

“L’Italia”, sottolinea lo studio, “è al 31 ° posto totale e al 17 ° posto in Europa. Il PIL del Paese cresce dell’1,5%, il tasso più rapido dalla crisi finanziaria del 2008. Eppure, rimane l’economia avanzata che sta crescendo di meno. Per migliorare la sua prosperità, l’Italia dovrebbe privilegiare la sua competitività e il programma di crescita, basandosi sulle sue forze e affrontando le sue debolezze.”

Il Global Competitiveness Report

Nato nel 2015 il Global Competitiveness Report del World Economic Forum ha lo scopo di analizzare la capacità di un paese di far fronte alle sfide della quarta rivoluzione industriale.

L’indice considera in particolare quattro fattori fondamentali per essere a prova di futuro:

  1. Resilienza
  2. Agilità, propensione al cambiamento
  3. Costruzione di un ecosistema dell’innovazione
  4. Adozione di un approccio umano-centrico allo sviluppo economico.

I quattro fattori si sviluppano poi su dodici pilastri fondamentali. Ad esempio, la resilienza è evinta dal pilastro del sistema finanziario mentre il concetto di agilità è collegato alla competizione sul mercato nazionale e alla cultura imprenditoriale.

 

È possibile approfondire la metodologia a questo link.

La posizione del sistema Italia

È importante sottolineare che, in generale, se comparato al report del periodo precedente, il ranking italiano è rimasto invariato o leggermente migliorato in quasi tutti i parametri.

Questa l’immagine complessiva del risultato Italia nelle varie aree di interesse.

 

 

Il nostro Paese rappresenta in alcuni casi una vera e propria eccellenza come, ad esempio, nel parametro sulla salute dove si posiziona ben al sesto posto a livello globale o nelle infrastrutture e nella capacità di innovare, dove è rispettivamente ventunesima e ventiduesima o, ancora, nella dimensione del mercato, dodicesimo per ranking globale. Nella valutazione del comparto educativo certamente non eccelliamo, ma non siamo nemmeno tra i peggiori posizionandoci spesso ai posti tra il cinquantesimo e il quarantesimo delle classifiche legate alla reperibilità presente e futura degli skill necessari per il lavoro.

I punti che lo studio individua come «da migliorare» sono invece l’adozione dell’ICT, il settore privato che dovrebbe essere più aperto a nuovi modelli di business e idee dirompenti, e la necessità di un atteggiamento di assunzione di rischi più positivo. Ma la vera criticità sta nel fatto che senza un ammodernamento del sistema finanziario e dall’amministrazione pubblica mancano risorse per gli investimenti innovativi e la burocrazia rischia di soffocare l’attività economica.

Analizzando il report risulta chiaro, in particolare, che il nostro tallone d’Achille potrebbe annidarsi nella macchina legislativa e rischia, a tendere, di essere la rovina dell’intero sistema: mancherebbe, infatti, la capacità del Legislatore di essere al passo con i tempi e con i cambiamenti in corso e di abilitare dunque l’innovazione che è presente nei vari attori del sistema.

Attenzione: non stiamo dicendo di essere sotto media ma che, secondo l’indice, in questo parametro l’Italia è tra i peggiori al mondo.

Il nostro tallone d’Achille

Proviamo ad approfondire cosa significa per il report il concetto di essere al passo coi tempi.

Questo si trova all’interno del pilastro legato alle istituzioni dove, complessivamente, l’Italia è al cinquantaseiesimo posto su centoquaranta paesi analizzati. A sua volta questo pilastro si divide in vari sotto indici dove spicca la Future orientation of the government. È proprio qui che arrivano le brutte notizie: per ritrovare l’Italia, infatti, dobbiamo scendere alla centoventicinquesima posizione di centoquaranta. A sua volta questo sotto-indice è composto da:

 

                                                                                                                                               Ranking               Punteggio

– un governo che garantisca stabilità legislativa                                                                127/140               2.8/7

– la capacità di risposta al cambiamento da parte del governo                                        122/140               2.5/7

– la capacità di adattare il framework legislativo ai nuovi business model digitali         101/140               3.2/7

– la capacità di visione a lungo termine                                                                               130/140               2.2/7

 

In questi parametri eccellono invece Singapore, USA e Paesi come Emirati Arabi, Arabia Saudita.

Da notare che questa parte dell’indice è creata sulla base di un questionario che ha ricevuto poco più di 12.000 risposte in tutto il mondo che è stato sottoposto a un target di top executive. In particolare, l’indice italiano si basa su 89 risposte ricevute alle seguenti domande:

 

  1. Nel tuo paese, quanto è veloce la struttura legale nell’adattarsi ai modelli di business digitali (ad es., E-commerce, sharing economy, fintech, ecc.)? [1 = non veloce affatto; 7 = molto veloce];
  2. Nel vostro paese, in quale misura il governo garantisce un ambiente politico stabile per il business?
  3. Nel vostro paese, in che misura il governo risponde in modo efficace ai cambiamenti (ad esempio, i cambiamenti tecnologici, le tendenze sociali e demografiche, la sicurezza e le sfide economiche)?
  4. Nel vostro paese, in che misura il governo ha una visione a lungo termine? Per le ultime tre domande, la risposta va da 1 [per niente] a 7 [in larga misura].

 

È stata dunque tracciata, qui, la percezione dei rispondenti al questionario e non un indice quantitativo oggettivo, così come non sono state fatte domande direttamente al Legislatore.

Cos’è l’orientamento al futuro

Forse, quando si parla di futuro, potrebbe non essere così importante tracciare eventuali scostamenti tra percezione e realtà. Il futuro ha infatti la capacità di autorealizzarsi: quello che immaginiamo diventa spesso quello che realizziamo e il motivo è racchiuso proprio nel ruolo che l’immagine del futuro gioca nella nostra psicologia. Se il Legislatore è percepito come non orientato al futuro, l’intero sistema si comporterà di conseguenza.

Ma perché è importante misurare l’orientamento al futuro e cosa significa?

Proviamo a partire dalle definizioni. Se parliamo di orientamento al futuro, stiamo parlando di quella che nella letteratura degli studi sul futuro si chiama coscienza del futuro. Anita Rubin, una studiosa di questo campo, ha definito questo concetto come “una prospettiva attiva e orientata all’azione sul futuro, presente e passato e le relazioni tra questi. [È] una forma interiorizzata dello sviluppo del pensiero [e] uno sforzo specifico per formare una concezione dei significati e delle conseguenze dei problemi e delle nostre azioni quotidiane”.

La studiosa evidenzia dunque una prospettiva attiva che considera tutte le dimensioni del tempo e nella quale trova le sue radici il nostro agire quotidiano.

Sharpe & Hodgson hanno sviluppato questo concetto definendo tre possibili atteggiamenti che vengono descritti attraverso altrettanti profili:

  • un approccio manageriale che tiene conto di una visione a breve termine,
  • un approccio imprenditoriale che tiene conto di una visione a medio termine,
  • e, infine, un approccio visionario che tiene conto invece di una visione a lungo termine.

Tutti e tre gli approcci hanno la loro utilità e, secondo gli autori, dovrebbero essere utilizzati in armonia per creare una coscienza del futuro più completa ed efficace in quella che hanno definito Three horizons methodology.

L’orientamento al futuro è dunque uno degli aspetti fondamentali della coscienza del futuro ed è spesso affrontato in modo interdisciplinare a cavallo tra psicologia e studi sul futuro. In questo contesto l’orientamento al futuro sarebbe proprio l’aspetto che in è in grado di mettere in evidenza un futuro atteso come fattore motivante per l’agire del singolo, o, nel caso di un governo, della collettività. Una dimensione strategica che diventa fondamentale nella capacità di prendere decisioni (Trommsdorff, 1983).

Perché è importante?

Frederik Polak nel 1971 ha evidenziato come la capacità di pensare al futuro in modo strutturato e quella di aumentare la coscienza del futuro a livello collettivo fosse stata una delle chiavi per superare un momento di pessimismo diffuso nonostante un rapido sviluppo tecnologico nell’Europa del secondo dopo guerra. È evidente che le similitudini con l’attuale crisi a livello sociale e culturale sono moltissime e che, se Polak ha avuto ragione, siamo davanti alla risposta a uno dei grandi problemi del nostro tempo.

In effetti negli ultimi trent’anni alcuni studi hanno evidenziato come la capacità di immaginare se stessi, come singoli individui o come società, in tante diverse evoluzioni (possibili, probabili o preferibili) permette di migliorare la pianificazione, il raggiungimento di risultati e il miglioramento della capacità di affrontare i rischi e di essere resilienti. Tutte queste caratteristiche sono utili sia a livello personale sia, e soprattutto, a livello di governo. Ecco perché l’orientamento al futuro è un fattore chiave da misurare e da alimentare.

Aumentare la coscienza del futuro a tutti i livelli della società è una priorità se vogliamo che il nostro Paese sia in grado non solo di essere parte della rivoluzione in corso a livello globale, ma di influenzarla in una direzione che sia stata scelta dalla società con consapevolezza e responsabilità.

Da un lato, dunque, il Legislatore dovrebbe agire con strategie che tengano conto di tutti gli orizzonti temporali teorizzati da Sharpe & Hodgson operando anche come imprenditore e visionario e non solo come manager col tempo contato; dall’altro la coscienza del futuro dell’intera società deve essere diffusa e aumentata in modo da dare a tutti gli strumenti per essere parte attiva del cambiamento e da rendere efficace l’azione del governo stesso.

Impactscool è oggi in Italia uno dei protagonisti di questo processo con la sua attività di insegnamento del futuro e dell’approccio al cambiamento sia con studentesse e studenti di tutte le età, sia con gli adulti.

Agendo laddove, anche secondo l’indice del World Economic Forum, è diffusa una grande capacità di innovare, è infatti possibile (ri)dare fiducia sulla possibilità di guardare insieme al futuro e di innovare in Italia.

Se, invece, dimentichiamo la dimensione del lungo periodo perdiamo la capacità di agire e prendere decisioni responsabilmente e di conseguenza, perdiamo anche la capacità dell’intero Paese di innovare e di migliorarsi in termine di capacità competitiva.

Abbiamo così tanti punti di forza che sarebbe davvero un peccato perdere l’occasione di esprimerli. Per questo è necessario trasformare il Paese in un Italia a prova di futuro e possiamo farlo a partire proprio da un continuo esercizio di visione e di osservazione a tutti i livelli della società.

 

English Version

Cristina Pozzi
Cristina Pozzi

Contributor

Cristina Pozzi si definisce una Future Maker, un’attivista che mira alla divulgazione del futuro e della riflessione etica sulle nuove tecnologie emergenti. È Co-fondatrice e Amministratore Delegato di Impactscool.

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