Scienza e Medicina

I nostri dati genetici e sistemi di IA: come nascono i nuovi farmaci

31 July 2018 | Scritto da Andrea Geremicca

La società californiana 23andMe, che offre kit per i test del DNA, ha annunciato una nuova e importante collaborazione con il gigante farmaceutico GlaxoSmithKline, GSK. GSK ottiene l'accesso esclusivo ai dati dei clienti di 23andMe , che saranno utilizzati per sviluppare una serie di nuovi farmaci, anche grazie a sofisticati sistemi di IA.

I nostri dati genetici e sistemi di IA: come nascono i nuovi farmaci

Avete mai fatto un test del DNA usando il sito www.23andme.com? Sei sì, in accordo con quanto dichiarato dalla stessa ex startup californiana, potreste avere un ruolo molto importante nella creazione dei nuovi farmaci che verranno immessi in futuro sul mercato.

Mercoledì 25 luglio 23andme, società che si occupa di genomica e biotecnologia a Mountain View, in California,  ha annunciato una nuova partnership con l’azienda farmaceutica GlaxoSmithKline, GSK. L’obiettivo di questa nuova collaborazione, che durerà quattro anni, è quello di sviluppare nuovi farmaci e nuove terapie, specialmente per quanto riguarda il morbo di Parkinson. Molto interessante e indicativo del valore di questi dati è che in un’altra operazione, apparentemente slegata da questa partnership, GSK abbia deciso di investire 300milioni di Dollari in 23andMe, acquistando l’accesso esclusivo ai dati delle persone che si sono sottoposte a test genetici, che saranno utilizzati per addestrare algoritmi di Intelligenza artificiale, con l’obiettivo di trovare nuovi farmaci.

Cosa succede quando lasciamo i dati del nostro DNA.

La domanda che in molti si staranno facendo è: i 4 milioni di clienti di 23andme sono d’accordo?

La società di Mountain View ci ha tenuto a precisare subito che i clienti, quando hanno deciso di “farsi analizzare il DNA” avevano la possibilità di scegliere se condividere o meno le loro informazioni genetiche ai fini della ricerca. Più di un anno fa scrissi un articolo che raccontava come veniamo ingannati ogni giorno dalle privacy policy dei siti che navighiamo e sempre un anno fa parlai proprio di come 23andme potesse essere considerato il nuovo Facebook in un articolo dal titolo DNA: dalla genetica ai social network.

Direi che l’unione dei due articoli è un po’ la sintesi di quello che sta avvenendo oggi.

La maggior parte (se non tutte) le informazioni che 23andMe ha sui suoi utenti è stata probabilmente condivisa con aziende esterne in maniera assolutamente legale, visto che il tutto è perfettamente in linea con i diritti che l’azienda ha sui nostri dati, dal momento che tutti noi abbiamo accettato (probabilmente ciecamente) la loro privacy policy.

23andMe mantiene, infatti, il diritto di condividere tutte le informazioni che ha raccolto sui suoi clienti con terze parti, a patto che non siano comunicati i dati strettamente personali: tecnicamente i dati ceduti non devono identificare nessun individuo, devono quindi essere anonimi.

Le banche dati anonime possono sembrare apparentemente innocue, ma non lo sono, poiché l’uso principale di queste informazioni, almeno per un inserzionista come Google o Facebook o per un data broker, non è mai legato al nome o alle informazioni personali, ma deriva piuttosto dal suo potere predittivo nel suo insieme. Inoltre, anche se si dice che questi dati siano di fatto svestiti da informazioni che permettano la corretta identificazione, come il tuo nome o la data di nascita, anche 23andMe stessa ha avvertito che non può fornire al 100% la garanzia che i tuoi dati saranno al sicuro in caso di violazione. Ma poi tutto sommato, nonostante sia parzialmente possibile ricostruire anche il volto da un campione di DNA (come raccontato dall’italiano Riccardo Sabatini durante il suo TED talk) siamo veramente sicuri servano tutte queste informazioni su di noi?

IA e nuovi farmaci.

I set di dati gestiti da aziende come 23andMe, che conta più di 4 milioni di clienti, sono abbastanza grandi da essere utili per addestrare algoritmi di intelligenza artificiale a scopi farmacologici, proprio questo potrebbe essere uno dei punti importanti della partnership.

Non è un segreto, infatti, che molte aziende abbiano istruito l’intelligenza artificiale nella speranza di scoprire nuovi farmaci, come ad esempio Exscientia, una startup che collabora con la casa farmaceutica statunitense Sunovion, per la progettazione di medicinali di interesse psichiatrico.

Fino ad oggi i risultati sono stati abbastanza deludenti, molti chimici hanno preso le distanze, per nulla convinti che il complesso mondo della chimica possa ridursi a codici binari analizzati da una macchina. Anche i sostenitori dell’IA hanno iniziato ad ammettere alcuni limiti e dare evidenza di molti tentativi falliti: molti risultati tengono in considerazione composti chimici difficilissimi da realizzare, o pieni di gruppi reattivi che provocano problemi di sicurezza e stabilità nel farmaco.

Di certo i limiti dell’Intelligenza artificiale nell’ambito della farmacologia andrebbero approfonditi ulteriormente, ma è comunque importante capire che questo è solo l’inizio: in fondo l’intelligenza artificiale del vostro telefono non vi capiva nel 2012 e oggi governa la vostra casa. Rimanendo poi nell’ambito della farmacologia e dell’intelligenza artificiale ricordiamo che qualche mese fa alcuni ricercatori di Stanford hanno prodotto un algoritmo capace di ricreare in poche ore la tavola periodica degli elementi di Mendeleev, una conquista che l’uomo ha ottenuto dopo circa un secolo di vari tentativi e successivi errori.

Andrea Geremicca
Andrea Geremicca

Contributor

Dal 2014 fa parte dell’Organizing team del TEDx Roma ed è visiting professor e Mentor presso la John Cabot University. Andrea studia e racconta nei suoi articoli gli impatti delle tecnologie esponenziali sulla nostra società.

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