Cambiamento climatico e ambiente

Per salvare la Terra (anche dai miti) non lasciamo i giovani soli in piazza

18 March 2019 | Scritto da Stefano Tenedini

L’impegno dei ragazzi ha il merito di tenere alta l’attenzione sul global warming che ci soffoca. Ma per essere efficace, al movimento servono due cose: conoscere le vere cause del problema per combatterle, e poter contare sulla responsabilità di tutti noi

 

La Terra sta male, e a farla ammalare siamo stati noi. Bastano le piazze piene di ragazzi a guarirla? No, ovvio. Ma potremmo cambiare le cose senza quei ragazzi? Anche qui, no. E chiunque dica il contrario è inconsapevole, cieco o in malafede. Perciò noi – qualunque sia la nostra età e il nostro ruolo – siamo idealmente in piazza con loro.

Ma questo non deve frenare il pensiero critico. Un movimento così potente corre il rischio, paradossalmente, di avvantaggiare i negazionisti se lascia che la passione metta in ombra un’analisi razionale delle cause e degli effetti, dell’obiettivo e dei colpevoli. Perché questa è una battaglia giusta, indispensabile, ma non la si vincerà con gli slogan, né accusando genericamente “i potenti”, senza una severa riflessione che riconosca le responsabilità di ciascuno di noi nell’aver creato, nel tollerare e non combattere i danni all’ambiente.

  Alla COP24 di Katowice prima e poi a Davos Greta Thunberg ha polarizzato l’attenzione dei governi e dei media mondiali con accuse durissime: non fate niente, non c’è più tempo, ci rubate il futuro, vogliamo che sentiate il panico. Però, se Greta ha ragione da vendere, va anche aggiunto che a volte sbaglia il bersaglio. Proviamo a capire perché, così da poterci prendere qualche impegno in prima persona. Ormai è un dato condiviso dalla maggioranza dei ricercatori che il global warming dipenda dall’incremento verticale delle attività umane, che generano i gas serra. L’errore semmai è dare la colpa (solo) ai “Paesi ricchi e alle multinazionali che ne sono il braccio armato nello sfruttamento dei poveri”. Le nazioni sviluppate hanno abusato della loro forza e hanno prelevato risorse a non finire, ma la curva del riscaldamento globale s’è impennata proprio quando più Paesi sono usciti dalla miseria e hanno sviluppato industrie e servizi inquinanti. Certo, hanno diritto di crescere, ma oggi il problema va oltre i confini dei singoli Stati. E se la Cina ha colto il segnale, applicando severe misure contro il degrado dell’ambiente che oltre a pulire l’aria stanno creando ricchezza e lavoro, ci sono intere popolosissime aree del mondo, come India, Africa e parte del Sudamerica in cui l’idea di sporcare meno il pianeta è respinta in difesa della sovranità e del legittimo desiderio di portare centinaia di milioni di persone fuori dalla miseria. Un approccio più equilibrato inoltre contribuirebbe a evitare l’accusa ai movimenti ambientalisti come FridaysForFuture di essere ideologicizzati in chiave anti-occidentale e strumentalizzati come quasi tutti i precedenti. Anche prendersela con i governi delle nazioni ricche, e in generale con le élite, è limitato e ingeneroso: se qualcosa è stato fatto finora, per quanto poco e male, è proprio per merito dei governi occidentali, che oltretutto si sono mossi contro la maggioranza dei loro elettori e contro i propri interessi economici. Proviamo a guardare che priorità avevano espresso i cittadini del mondo industrializzato prima delle elezioni: lavoro, sicurezza, casa, pensione, immigrati, sanità... ambiente non pervenuto o fuori dalla top ten. In fondo a scatenare la rivolta dei gilet gialli in Francia è stata una tassa sui carburanti, e ogni ordinanza contro auto o riscaldamenti inquinanti viene presa malissimo. Allora di cosa stiamo parlando? Dall’altra parte c’è un facile invito ad abitudini più “magre”, ai minori consumi, a frenare non solo lo spreco ma anche lo sviluppo stesso. Diciamo a questi giovani che la decrescita felice non esiste. Che il futuro dell’uomo è una crescita sostenibile, fatta di innovazione, di metodi di produzione a basso impatto, di consumi più consapevoli, di energie più pulite, di una finanza che non immobilizzi le risorse economiche ma mantenga in circolo i capitali per lo sviluppo. Fatta di cultura, di corsi di studio che contribuiscano a valorizzare scienza, tecnologia, parità di genere nelle opportunità e nelle retribuzioni, di una società moderna e non voltata indietro a rimpiangere il falso mito pre-industriale. Per concludere: chi deve fare cosa? Noi, tutti. Facendo la spesa, rinunciando all’auto per la bicicletta, evitando plastica (riciclarla non basta: non bisogna produrla), contenitori inutili, spostamenti inutili, acquisti inutili. Risparmiando l’acqua, la terra, il cibo, le risorse. Con un maglione in più e due gradi in meno in casa. E non eremiti, ma cittadini responsabili dei propri gesti, nell’arco delle 24 ore, per 365 giorni l’anno. Spegni la luce quando esci, chiudi l’acqua mentre lavi i denti o mentre ti insaponi in doccia. Sali a piedi e non in ascensore. Piccole cose, e sarà come stare davvero in piazza tra i giovani. Facendo politica con i fatti e acquistando così il diritto civico di dire ai governi come comportarsi. Fare la propria parte per abbassare la febbre della Terra. Perché rendiamoci conto che la peggior minaccia al nostro pianeta è la convinzione che vada salvato, sì, ma da qualcun altro.
Stefano Tenedini
Stefano Tenedini

Contributor

Giornalista e inviato per quotidiani e periodici, esperienze di ufficio stampa e relazioni esterne nella finanza e in Confindustria. Oggi si occupa di comunicazione per grandi e piccole imprese, professionisti e start-up.

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