La didattica digitale ai tempi del Covid-19
10 March 2020 | Scritto da Thomas Ducato
Il nuovo Coronavirus sta mettendo l’Italia di fronte a un’emergenza che non è solo sanitaria, ma anche economica e sociale. Come sta reagendo il mondo della formazione?

Chiuse fino al 3 aprile. La sospensione dell’attività didattica delle scuole e università italiane, annunciata nella serata del 4 marzo dal Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina, è stata prorogata dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte con il decreto del 9 marzo.
Una chiusura forzata che in alcune Regioni, come Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, è iniziata ancora prima e raggiungerà, al netto di ulteriori aggiornamenti, circa 30 giorni di lezione effettiva.
Il sistema scolastico, che coinvolge anche mense, cooperative, psicologi, potrebbe risentire fortemente di questo stop sotto diversi punti di vista. Il mondo della didattica, però, non si è fermato: sono moltissimi gli istituti e i docenti che hanno continuato a erogare il servizio online, attraverso piattaforme digitali.
Nella tragedia di un’emergenza con gravi conseguenze per il nostro Paese, molte delle quali saranno quantificabili solo tra qualche mese, è arrivata l’occasione per testare la tanto sospirata e citata “scuola digitale”.
Scuole e università si stanno dimostrando pronte al cambiamento?
La scuola digitale. Nel 2015 il Piano Nazionale Scuola Digitale, PNSD, introdotto con “La Buona scuola”, ha disposto alcune linee guida per la costruzione del sistema formativo del futuro, introducendo attività, nuovi metodi e approcci per la didattica del domani. Il piano non riguarda solo l’utilizzo della tecnologia, dunque, ma anche e soprattutto un’azione culturale e di sistema. Ma a che punto siamo? Ne abbiamo parlato con Licia Landi, docente veronese e professoressa a contratto di Tecnologie didattiche all’Università di Verona.
“Il problema nasce proprio dal concetto di didattica digitale. Come espresso nel documento del PNSD bisogna partire dalle competenze, che non si possono sviluppare senza una precisa progettazione didattica. È necessario superare la pratica trasmissiva, con l’insegnamento di conoscenze spesso preconfezionate, e passare all’attivazione di processi cognitivi, mettendo in un rapporto molto stretto pensiero e azione. Questo è possibile grazie a una triangolazione tra didattica, metodologie e tecnologie. Una visione interdisciplinare, dunque, non solo nell’approccio ma anche nei contenuti dell’insegnamento, per favorire anche lo sviluppo di competenze trasversali”.
Prima degli studenti, però, i protagonisti della trasformazione devono essere i docenti. “Nel PNSD sono stati investiti molti soldi per la formazione dei docenti. Il problema è che manca l’obbligatorietà, presente invece nei piani degli altri Paesi. Questo crea, all’interno anche delle stesse scuole, delle disparità molto più profonde e rilevanti rispetto a quelle legate all’età degli insegnanti o al territorio di appartenenza. Inoltre, è stata privilegiata la formazione tecnica, lasciando in secondo piano aspetti metodologici e didattici che dovrebbero essere proprio la premessa del cambiamento”.
Come hanno reagito le scuole all’emergenza Covid-19. La chiusura forzata di scuole e necessità italiane ha portato a un’accelerazione del passaggio verso la didattica a distanza attraverso supporti digitali. Le esperienze, però, sono molto diverse e variano non solo a seconda dell’Istituto, ma anche dei singoli docenti.
“È difficile generalizzare – spiega Elena Balestrazzi, docente di inglese, animatore digitale e formatrice del PNSD – ci sono molte differenze tra i singoli docenti, anche all’interno di una stessa scuola. Sento di molte lezioni che si svolgono in videoconferenza, uno strumento importante perché permette di mantenere il contatto con gli studenti, ma non basta. Le lezioni a distanza devono essere integrate con una serie di attività didattiche gestite e organizzate su piattaforme dedicate, che offrono grandi possibilità di interazione, con il rispetto per la privacy e la gestione dei dati degli studenti: è possibile assegnare dei compiti, verificare che siano stati svolti, programmare le attività e le scadenze. Alcune piattaforme, inoltre, permettono di monitorare l’apprendimento, in misura ancora maggiore rispetto al lavoro in classe, con tanto di rendicontazione finale. Gli studenti sono felici di affrontare questa nuova sfida, ci stiamo avvicinando al loro mondo”.
Soddisfatto dei risultati anche Giulio Massa, Amministratore delegato degli Istituti De Amicis di Milano. “Noi non abbiamo perso nemmeno un giorno di scuola – racconta – e questo vale per tutte le nostre 56 classi. Siamo una “Apple Distinguished School” dal 2015 quindi tutti, studenti e docenti, sono dotati di iPad su cui possiamo gestire in modo centralizzato le applicazioni. Una volta individuata e installata la piattaforma abbiamo attivato gli insegnamenti da remoto. Tutti i docenti stanno facendo lezione con il normale orario. Il dato più positivo, però, credo sia legato alla soddisfazione: gli studenti rispondono bene e abbiamo anche molti meno assenti che con la didattica tradizionale. E anche i docenti sono entusiasti, nessuno ha fatto resistenza”.
Un risultato che, però, è frutto di un lavoro che dura da tempo: “Gli ingredienti di questo risultato sono diversi: la tecnologia da sola non basta – prosegue Massa – sono fondamentali la familiarità a utilizzare questi strumenti per la didattica da parte di docenti e studenti e la presenza di un progetto preciso sulla didattica digitale da parte della scuola”.
Dello stesso avviso anche Elena Balestrazzi, che si sofferma però anche sull’opportunità che questa emergenza potrebbe offrire: “Mi auguro che questa emergenza – ci ha detto – ci possa aiutare ad aprire gli occhi. Lavoro a Mirandola e abbiamo vissuto una situazione simile con il terremoto del 2012: da lì sono nate nuove idee, contenuti e metodologie. In questo caso però l’emergenza è nazionale e soprattutto abbiamo a disposizione tecnologie più evolute e performanti. Infine, aggiungo che questa è un’opportunità anche per sviluppare o implementare la didattica progettuale: i ragazzi possono sfruttare questo momento per realizzare attività creative, lavorando da remoto in modo organizzato e flessibile: un ottimo allenamento anche per il mondo del lavoro o un percorso universitario”.
Una piattaforma ministeriale. Questa è un’occasione storica per spingere la scuola a iniziare il percorso di cambiamento – racconta Chiara Burberi, fondatrice di Redooc.com -. La scuola ha milioni di dipendenti e utenti ed è difficile avere cambiamenti rapidi e fluidi. Ma quello che stiamo vivendo è uno shock per tutto il sistema, una situazione che potrebbe davvero dare la scossa. Ad oggi c’è troppa differenza tra i diversi docenti e tra una scuola e l’altra. Quanti sono i docenti che vedono nel digitale un’opportunità, ne vedono il potenziale e capiscono le nuove esigenze degli studenti?
Ma è proprio in questa direzione che sembra si stia muovendo il Ministero dell’Istruzione, che ha già predisposto una pagina di supporto per la didattica a distanza. Attraverso questa sezione è possibile accedere a strumenti di cooperazione, scambio di buone pratiche e gemellaggi fra scuole, webinar di formazione, contenuti multimediali per lo studio, piattaforme certificate. Ma l’idea di avere, nel prossimo futuro, uno strumento ministeriale univoco non convince Chiara Burberi: “Oggi la presenza e l’utilizzo di strumenti diversi, anche all’interno della stessa scuola, – ci ha spiegato – garantisce una certa varietà di fonti e approccio. Avere una piattaforma unica da un lato potrebbe aiutare, ma dall’altra potrebbe limitare la pluralità, come accadeva in passato con l’imposizione dei libri di testo. Oggi, al contrario, gli insegnanti possono scegliere tra più editori, con un’autonomia che genera opportunità e ricchezza. Lo stesso accade con le piattaforme digitali: offrono contenuti, metodi, approcci e materiali diversi e i docenti possono utilizzarle anche in modo integrato. Spero che questa possibilità resti anche in futuro. Più che dalle piattaforme – prosegue Burberi – la riflessione sulla scuola digitale dovrebbe partire dal nome stesso del ministero e dalla sua missione: non dovrebbe essere “dell’Istruzione” ma “dell’Educazione”. I ragazzi vanno educati, un termine che deriva da educere, tirar fuori. Dobbiamo aiutarli a tirare fuori il meglio!”.
Il rischio, condiviso da molti e anche dai nostri intervistati, è che questa accelerata verso i supporti tecnologici possa creare confusione sul vero concetto di scuola digitale: portali, lezioni in streaming e compiti in pdf non sono la soluzione. Serve una visione, comune e condivisa, da cui partire.
“Manca una cultura di scuola digitale – conclude Balestrazzi – il rischio è che qualcuno confonda la scuola digitale con il fatto di proporre la stessa didattica, con vecchi contenuti e metodi, in una nuova veste. Questo è controproducente: serve una didattica interattiva e personalizzata”.
Credit immagine: My Gre Exam Preparation